Regia di Claude Autant-Lara vedi scheda film
Ho già scritto che, nella loro aspra critica al “cinéma de papa” che volevano seppellire una volta per tutte, gli esponenti della “Nouvelle Vague” rischiavano di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Non sono pochi i film francesi degli anni ’30, ’40 e ’50 che, per quanto datati, meritano di essere visti e ricordati. Per pellicole come questa, però, i vari François Truffaut, Jean-Luc Godard e compagnia non avevano tutti i torti. Siamo di fronte ad una delle numerose riletture del mito di Faust, con attori di prestigio, certo, ma senza particolare originalità. La recitazione è pomposa, la scenografia al limite del kitsch e la regia si concede tempi lunghissimi in esibizioni operistiche e canore che non dinamizzano certo lo svolgersi degli eventi. Michèle Morgan appare imbrigliata nel personaggio della donna passionale che la rese immortale in capolavori come “Quai des brumes” (1938) di Marcel Carné o “Les grandes manoeuvres” (1955) di René Clair. La dimensione fantastica della storia avrebbe richiesto qualche variazione rispetto all’interpretazione di ruoli melodrammatici o semplicemente drammatici più attinenti alla realtà. Chi coglie questa sfumatura è Yves Montand nell’insolita parte di un Mefistofele sarcastico e non privo di umorismo, forse l’unico personaggio indovinato del film, ma insufficiente a salvare un’opera di modesto livello. Dispiace anche vedere un attore di classe come Massimo Girotti impiegato in un ruolo secondario, benché il prete che incarna si imponga per eleganza e autorevolezza.
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