Regia di Milcho Manchevski vedi scheda film
Un conflitto interetnico latente fa intravedere l’odio e l’insofferenza che serpeggia nell’animo umano, Prima della pioggia si articola come un racconto in tre parti collegate tra di loro. A distanza di tempo, la rilettura del film non diminuisce le perplessità che accompagnarono il suo successo, aggiudicandosi anche il Leone d’oro veneziano ex aequo con Vive l’amour di Tsai Ming Liang nel 1994. Non fosse altro perché il film d’esordio di Milcho Manchevski fu realizzato e distribuito nel pieno delle guerre che hanno insanguinato la ex Jugoslavia, dunque preso a simbolo di quell’attenzione sul presente che sta tra la denuncia opportunista e lo sfruttamento ad hoc della storia, per documentare una situazione che ancora oggi ci appare complessa. Il particolare ideologicamente scabroso cade sulla scelta di realizzare un film manifesto post pacifista che non parla di serbi, croati o bosniaci, ma di un conflitto tra macedoni e albanesi dalle radici antiche che nessuno si augurava si innescasse e che invece si scatenò sei anni più tardi. L’impressione che ne scaturisce è quella di una presa al volo di un’attualità quasi conforme al vero che senza troppi problemi si adatta bene al cinema portavoce di proclami dei valori giusti e di prese di posizione obbligate, per nobilitare un establishment dello spettacolo sensibile che poi sa anche tacere sulle cosiddette missioni di pace dei “nostri” ignorandone conseguenze e responsabilità, basti pensare a cosa è successo a Srebrenica .. Meglio restare sul valore formale del film, con la sua destrutturazione temporale che curiosamente coincide con l’uscita di Pulp Fiction, ma si tratta di una autentica combinazione. Il messaggio rappacificatore e ricattatorio del film risuona dalla prima all’ultima sequenza, qualche suggestione cromatica e una musica ridondante accompagna il concetto guida, non male per un’esordiente ma il narrato è decisamente inferiore alla sua potenzialità espressiva. Zamira, una ragazza albanese accusata di avere ucciso un macedone trova rifugio in un monastero dove il giovane monaco Kiril la nasconde all’insaputa degli altri confratelli. L’inevitabile ritorsione genererà conseguenze inappellabili. La vicenda si svolge attraverso tre capitoli che vogliono rappresentare simbolicamente la chiave di lettura della concatenazione degli eventi. Il primo, Words, nel quale Kiril ha fatto voto di non parlare e non capisce la lingua della ragazza, mentre i monaci più anziani di fronte alle turbolenze dei fatti si appellano alle parole dei dogmi , denunciano l’assenza di comprensione chiusi nell’incomunicabilità del loro potere. Senza linguaggio non c’è comunità tra le persone, si accentuano paure, diversità, ogni punto d’incontro viene negato. Il regista sembra volere radicalizzare in Kiril una possibile forza di rottura, il suo stesso voto si romperà, destinato con Zamira a rappresentare le generazioni vittime dei conflitti piuttosto che rigeneratori della violenza. Nonostante ciò, il personaggio risulta troppo marginalizzato ed ininfluente sulla dinamica degli eventi, compresso iconicamente nella rappresentazione tragica più semplice e scontata. La seconda parte s’intitola Faces, ambientato a Londra, diviso tra il volto perbene e moderno della società che sta a guardare, incarnata dal fotografo macedone Aleksandar (zio di Kiril) e Anne che lavora nella stessa agenzia. Tra i due c’è una storia d’amore non risolta, ma risultano fondamentali i volti ritratti nelle foto che l’uomo riprende in zone di guerra. In un processo di trasposizione verso la realtà dei due, ne intuiamo lo stesso disagio, la ricerca d’identità, lo sradicamento e la devastazione interiore. Per Anne tutto si riversa nei suoi conflitti personali, per Aleksandar prevale il senso di colpa, per aver visto ciò che ha immortalato e che lo fa sentire inadeguato. Nel terzo capitolo Pictures, il fotografo torna nella sua terra d’origine, sono le immagini delle sue foto a prendere vita, il suo agire ragionato e razionale si scontra però con la realtà, frastagliata e impazzita, egli stesso sentirà di non potergli più appartenere. Personaggio troppo invasivo, interpretato dall’istrionico Rade Serbedzija, Aleksandar rappresenta per eccesso la coscienza sociale, troppo costruito per esserne solidali, e l’impressione generale che trasmette Prima della pioggia è su quella linea, un lavoro fatto per piacere e dal facile incanto. La carriera del regista si apre e nonostante pochi altri film si chiude con questo lavoro, prigioniero della sua storia e da quanto si apprende dalle cronache, impegnato meritoriamente a difendere tradizioni e comunità macedoni che la storia ha disseminato in tante parti del mondo.
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