Regia di Serge Avedikian vedi scheda film
Un attore francese sul viale del tramonto si smarrisce in una località sperduta dell'Armenia. Una commedia delicata e fantasiosa, che ha il merito di evocare l'ancora irrisolta questione armena e invita a riflettere sulla comunicazione tra persone che parlano lingue completamente diverse.
Film molto fantasioso, al limite del fantapolitico, che narra una vicenda personale per agganciarsi alla realtà di un popolo, quello armeno, ancora oggi in cerca di una collocazione geografica e della ricostruzione di un’identità duramente colpita da quello che viene considerato il primo genocidio del XX secolo. Jean-Paul Bolzec, attore francese ultrasessantenne, si ritrova causalmente smarrito nell’enclave armena delimitata dalle frontiere dell’Azerbaigian, una regione sperduta tra le montagne, dove trovare un po’ di campo per utilizzare il telefono cellulare è un’impresa. Sospettato in un primo di essere una spia, viene successivamente accolto come un liberatore, un uomo atteso da lungo tempo, come indicato dal titolo del film. La particolarità della vicenda risiede nell’impossibilità di comunicazione verbale tra l’attore francese e la popolazione in cui si è imabattuto. Nella prima parte non sono neppure presenti sottotitoli quando ad esprimersi sono personaggi armeni, proprio per consentire allo spettatore di mettersi interamente nei panni del protagonista. L’espediente funziona e rivela quanto, in situazioni drammatiche e concitate, le parole rivestano veramente poca importanza. Una sincera volontà di comunicare permette evidentemente di superare le barriere linguistiche. Durante l’intero film, Jean-Paul Bolzec ha un solo obiettivo: trovare il modo di raggiungere un aeroporto per rientrare in Francia. I tempi, però, sono lunghi e il Nostro si trova, suo malgrado, a risolvere alcuni problemi della vita quotidiana locale, come il miglioramento della fornitura di corrente elettrica, il restauro di una scuola e di un centro sportivo. La popolazione è convinta che l’uomo venuto dal ricco Occidente sia il discendente di un valoroso Armeno fuggito in Francia all’epoca delle persecuzioni e che sarà in grado di sostenere le spese necessarie. Grazie all’esistenza della filiale di una banca d’Oltralpe, il cui direttore parla francese, il Nostro mette effettivamente mano al portafoglio, consentendo l’avanzamento dei lavori. Nel frattempo, instaura una serie di rapporti umani con varie persone, dalle autorità locali alle famiglie che lo ospitano, dai ragazzini che intonano gustosi brani rap nella loro lingua ad una bambina che possiede un album di Tintin, “Le Temple du Soleil”, tradotto in armeno. E’ forse questa la trovata più originale del film. Attraverso quelle 62 pagine di letteratura a fumetti, traducendo i dialoghi tavola dopo tavola, Jean-Paul Bolzec impara un po’ di armeno e insegna ai più giovani i primi rudimenti della lingua francese. Giunto al momento di far ritorno in patria, dove lo attendono un lavoro per il quale non prova più alcuna passione e una moglie che da tempo ha deciso di lasciarlo, comprende che, in quella regione sperduta, in mezzo a quella gente e con la prospettiva di una nascente storia d’amore con una docente di letteratura francese incontrata negli ultimi giorni, ha trovato una dimensione che gli va a genio, la possibilità di ricominciare una nuova vita a dispetto dell’incipiente vecchiaia. Sceglie di restare. Un finale forse un po’ troppo all’acqua di rose, ma che non inficia una storia raccontata con garbo e umorismo, senza mai perdere di vista il dramma di una popolazione relegata ai margini della Storia che conta, in lotta permanente contro vessazioni e povertà. Patrick Chesnais, prolifico attore fin dagli anni ’70 e raramente impiegato in ruoli da protagonista, offre qui una prova maiuscola, mescolando abilmente il registro dello smarrimento con quello dell’umorismo. Il suo personaggio non nutre alcuna ambizione personale ma supera ogni ostacolo e ottiene ottimi risultati quasi a sua insaputa. Nel ruolo della professoressa di letteratura francese, non passa inosservata la buona prestazione di Arsinée Khanjian, moglie del regista Atom Egoyan e come lui canadese di origine armena.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta