Regia di Safy Nebbou vedi scheda film
L'esigenza di eremitaggio che spinge un giovane ad abbandonare ogni contatto con la civiltà per ritrovare se stesso e la natura circostante, contribuiranno a rinvigorire nel protagonista la considerazione di valori come la collaborazione e l'amicizia. Un film intenso che evita retoriche facili ed inutili, immerso in una natura maestosa ma spietata.
Desideroso di allontanarsi dai rumori e dal caos della vita quotidiana martellante e foriera di stress e tensioni, il giovane Teddy racimola tutti i suoi risparmi e le sue cose per trasferirsi in una remota, desolata ed affascinante della Siberia. Acquista una baita nei pressi di un lago ghiacciato ai limiti del mondo civilizzato, e ci si installa, desideroso di condurre una vita da eremita in compagnia dei suoi libri, della natura maestosa e impegnativa che lo circonda, con l’intenzione di ritrovare se stesso e una dimensione più accettabile di esistenza che lo porti ad un contatto diretto e dipendente con l’ambiente ostile ma non privo di opportunità che lo circonda.
Scampati pericoli di assideramento e le minacce più o meno consapevoli di un orso maldestro ed invadente, il ragazzo si metterà in pericolo durante una improvvisa tempesta di neve, trovando la salvezza solo grazie all’intervento provvidenziale di un bracconiere, della cui esistenza si favoleggiava nel villaggio più vicino, e di cui il ragazzo aveva scorso tra i boschi una flebile traccia di esistenza. Sarà l’occasione per instaurare un’amicizia ed un legame a prima vista non preventivabile, che aiuterà entrambi a migliorarsi.
Dall’interessante autore de “Comme un homme”, Safy Nebbou, Dans les forets de Sibérie evita facili sensazionalismi o trappole melodrammatiche che le circostanze potrebbero indurre a veder rappresentate, e ci racconta la storia di una svolta verso i valori primari, verso un concetto di sopravvivenza che è quella sensazione istintiva che in natura possiedono tutti gli esseri viventi tranne l’uomo, troppo lontano e depurato dai tranelli consumistici e civilizzatori di una società che lo ha da troppo tempo chiuso ermeticamente dentro una sfera che lo protegge ma lo soggioga e inaridisce.
La natura è indubbiamente l’aspetto sovrano del film, ed il regista sa bene come riprenderla nell’incanto mozzafiato, ma anche inflessibile e rigoroso, delle sue regole di vita implacabili e senza possibilità di travisamenti. In questo contesto il divo francese notissimo in patria, ma quasi sconosciuto da noi – Raphael Personnaz (se si eccettua il personaggio di Malaussène ne Il paradiso degli orchi, da Pennac) si impadronisce del suo ruolo di protagonista assoluto con una buona verve, ma anche senza strafare, vincendo in credibilità ed dando aderenza e profondità al suo personaggio di uomo in fuga dai tentacoli di un progresso soffocante ma forse non necessariamente senza via d’uscita.
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