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Los amigos

Regia di Paolo Cavara vedi scheda film

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La recensione su Los amigos

di scapigliato
8 stelle

Dal genio autoriale di Paolo Cavara, un solo Spaghetti-Western che ne vale molti altri. Con un cast tecnico di grandi professionisti che vede alla fotografia Tonino Delli Colli, al montagio Mario Morra e in sceneggiatura oltre allo stesso Cavara anche gli sceneggiatori di Un Tram Chiamato Desierio e di I Quattro Figli di Katie Elder, rispettivamente Oscar Saul e Harry Essex, il regista bolognese firma un bel film interamente girato in Italia con esterni nei calanchi crotonesi, un vero e proprio territorio desertico simile in molti suoi angoli al deserto almeriense di Tabernas. Per la prima volta insieme e poi grandi amici nella vita - i due si ritroveranno sullo stesso set anche nel 1981 per La Salamandra - Franco Nero e Anthony Quinn, l’americano al suo primo e unico spagowestern - tra l’altro è anche l’ultimo western della carriera - sono due pistoleri al servizio del governo americano e devono sventare un attentato texano-fascista ai danni degli Stati Uniti d’America. A dir il vero ce ne sarebbe da dire sullo stato del Texas: qui abbiamo una falange conservatrice che vuole l’indipendenza contro l’assoggettamento governativo dell’unione, dimenticandosi tutti che il Texas prima era territorio messicano e furono proprio gli americani, unti dal Signore, ad entrare e dettare legge girando la frittata a loro favore, e favoleggiando su Alamo. Ma questa è un’altra Storia, la cui S maiuscola non dovrebbe farci cadere in errori retorici. Il Texas quindi come il “grande paese” ambiguo e inquieto che forse ancora oggi non ha risolto il suo ruolo all’interno della federazione.

Cavara predilige l’immagine cinematografica preferendovi quella narrativa solo nei raccordi informativi. Bel film elegante quindi, ma di quella eleganza sporca, fatta di una fotografia terrigna che rende bene l’importanza dell’ambiente nell’economia duale dei protagonisti - i loro duetti migliori sono in pieno deserto -, ed un montaggio frenetico che si alterna a veri e propri movimenti di macchina a mano che danno quel realismo che il western all’italiana portava nel campo del Mito. Se i titoli migliori Cavara li ha girati nel thriller orrorifico e nel documentario estremo come andava di moda all’epoca, non possiamo far finta che questo Los Amigos non sia uno dei western post-Peckinpah tra i più significativi. Non solo la lunga mitragliata finale cerca di emulare quella selvaggia del mucchio peckinpahniano anche grazie ad una pesante presenza di immagini cruente, come nel bellissimo e spiazzante massacro iniziale, efficaci proprio perchè prive di un “prima” e un “dopo” narrativo a precederle e a seguirle, ma anche l’elegia nostalgica di una terra che sta sparendo, poeticamente riambientata nel crotonese, sono i segni che dopo Sergio Leone e Sergio Corbucci è Sam Peckinpah ad aver influenzato il genere western e non. L’atmosfera quasi autunnale della vicenda, dovuta anche ai colori tristi che predominano sui chiari, fa il paio con il viale del tramonto a cui sembra esser sempre pronto il personaggio di Anthony Quinn, il cui handycap, è un sordomuto, già lo porta lontano dal consorzio degli uomini. L’immersione nella deficienza fisica di Quinn, ottenuta con espedienti linguistici che chiamano in causa il tema musicale e le inquadrature, porta lo spettatore ad avvicinarsi più al vecchio pistolero invece che al giovane e bello Franco Nero che s’innamora di una giovane e bella prostituta redenta con cui vuole fare famiglia anche abbandonando la sua vita di sempre. Sono le note dolenti di un deguello che allontanerà definitivamente i due personaggi alla fine del film, che chiude con un fermoimmagine evocativo.

Quindi un western all’italiana che cura molto il linguaggio per definire le emozioni e i discorsi del testo filmico, appellandosi alle maestranze tecniche come artistiche. Infatti, la grandezza di Anthony Quinn seppellisce l’istrionismo esagerato di Franco Nero, qui un tantino più esasperato nella sua conosciuta autoironia, e s’impadronisce della scena appena vi fa capolino. In più, l’assenza della voce, gli permette di caricare il gesto attoriale che appiccicato ad un volto e ad un corpo come i suoi è la manna per gli appassionati.

Unico neo sono i personaggi cattivi. Sicuramente fa piacere vedere Romano Puppo forse nel suo ruolo più articolato e definito, ma non solo si spreca quel caratterista di razza di Luciano Rossi che qui è solo intravisto, ma anche il cattivo Franco Graziosi non ha il physique du role giusto. Bello il duello finale tra lui e Quinn, ma si poteva fare di più. Gioiello, invece, dell’intera pellicola è la sparatoria all’interno della miniera. Schermo nero rischiarato solo dall’abbaglio degli spari. Porzioni di visi e corpi nella durata di un’istante. Fantastica.

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