Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
La metafora è abbastanza scoperta e nel finale la enuncia chiaramente il personaggio di Richetto il Baro (una bella caratterizzazione di Domenico Modugno): «la vecchia possiede un capitale di duemila miliardi e si può permettere il lusso di giocare all'infinito, mentre se Peppino sbaglia una mossa è fottuto».
Il gioco è stato spesso usato dal cinema come metafora della vita. I giochi di carte si prestano particolarmente a questa funzione. Mentre altrove, soprattutto in America (ma anche in Italia, basti pensare a Regalo di Natale di Pupi Avati), è stato utilizzato il gioco del poker, qui Sonego e Comencini si servono del casereccio scopone scientifico, quale figura dei rapporti tra le classi sociali.
E, tra qualche momento risaputo, qualche fase di stanca, forse dovuti allo schema non nuovissimo, il cui finale è già sufficientemente preannunciato, i momenti migliori sono quelli in cui è in azione il coro dei borgatari e dei baraccati, guidati dal genio malato del Professore (un bravo Mario Carotenuto), e che vedono in Antonia e Peppino - in rigoroso ordine di bravura al gioco delle carte - come l'avanguardia della loro personale lotta di classe.
Sordi è bravo, anche se ricorre fin troppo spesso ai trucchi del proprio immenso mestiere, mentre la Mangano, ormai americanizzata, mi sembra poco adatta alla parte di una popolana.
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