Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
Scritto da quel geniaccio di Rodolfo Sonego e diretto da quel maestro che fu Luigi Comencini, Lo scopone scientifico è un film perfetto per varie ragioni. La storia è quella di uno straccivendolo romano de Roma e di sua moglie che ogni anno, nella cornice di una lussuosa villa, si battono a scopone scientifico con una vecchia e tirannica americana in coppia col suo sottomesso segretario. È quindi, inanzitutto, una metafora sulla lotta di classe: da una parte la borgata stracciona e dall’altra l’esagerato lusso made in USA. E il simbolo di questa diversità sta anche nel danaro messo in palio: se fino ad un certo punto la posta è fittizia (all’inizio la vecchia presta un milioncino alla coppia mentre lei gioca con nove), quando la padrona di casa inizia a perdere, il giuoco si fa duro e anche la perdita di centomila lire può essere un danno irreparabile. La vecchia gioca con i poveracci per un motivo semplice: deve dimostrare la sua superiorità assoluta, non rinunciando ad umiliarli indirettamente. Lei deve vincere, sempre e comunque, altrimenti creperebbe. Ci va anche vicino, ma l’ingenuità dei due romani la induce a non gettare la spugna e a, finalmente, raggiungere la gloria perduta. La vecchia, insomma, è il capitalismo. Una sceneggiatura che gioca sugli sguardi assai diversi dei quattro protagonisti, calibrata con esperienza e virtù da chi conosce bene la disumanità umana, quella di Sonego è una rappresentazione della vita a suo modo ideologica: mai sperare in una vittoria quando si gioca coi ricchi. Il potere, visto con l’occhio attento di chi non l’ha raggiunto e mai ci riuscirà, quindi il denaro, è il protagonista principale della parabola, ma anche la fortuna, la crudeltà, la miseria, l’ingenuità hanno la loro parte.
È un film crudele, certamente amaro, che non si priva di raffigurare la povertà con disincanto comico e spietato lontano dalla stilizzazione pasoliniana. Guarda caso sarà una bambina, la figlia dei due borgatari dal nome troppo ingombrante, Cleopatra, a porre fine ai dispotismi della vecchia (come per dire che solo nei fanciulli possiamo trovare una speranza in questo mondo governato da un malsano esercizio del potere: Comencini puro). Strepitoso il cast: meraviglioso sono per ragionata spontaneità il verace Alberto Sordi (il movimento del dito mignolo è da applausi) e la fine Silvana Mangano (la metamorfosi più straniante della sua carriera), malinconico è Joseph Cotten che si porta appresso i fantasmi di un cinema defunto, odiosa, perfida e magnifica è Bette Davis; ma pure il filosofeggiante professor Mario Carotenuto fa macchia (lo sguardo quando non-chiede la seconda razione di minestra è immenso) e anche Domenico Modugno come baro di periferia lascia il segno. Comencini, al suo meglio, è regista invisibile e infallibile. Assieme a Tutti a casa è il suo capolavoro. Nello stesso anno, per dire, dirigeva anche Le avventure di Pinocchio.
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