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Il buono, il brutto e il cattivo

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il buono, il brutto e il cattivo

di kotrab
10 stelle

Aumenta considerevolmente la durata con Il buono, il brutto, il cattivo rispetto ai due western leoniani precedenti, ma il bello è che la sostanza non risente minimamente di cali d'ispirazione, anzi, S. Leone e compagnia riescono in modo incredibile a dare nuova linfa ad aspetti di fondo comuni ed a sviluppare una "semplice" (ma estenuante) caccia all'oro in un'epopea storica e mitica.
Questo film consolida ulteriormente l'eccezionale talento, la passione e l'umanità autentiche del suo regista, e quel che sorprende ancora è l'assoluto surclassamento dei piccoli difetti, quali si potrebbero chiamare alcuni momenti di indugio temporale riducibili ad una manciata di secondi, da parte di una tensione narrativa assoluta, caratterizzazioni incisive e sempre interessanti, caratura registica colossale e musiche indispensabili che, a ben vedere (anzi, sentire), sono la vera anima e il vero motore delle immagini, con buona pace del suo grande regista e con rispetto parlando (ma d'altronde le ha accettate proprio per questo...).
Soprattutto è la vicenda che si fa più complessa e profonda, leggenda, quotidianità e Storia si intrecciano, gli interessi privati si scontrano con i drammi collettivi, ma ancor di più, come accennato, sono le varietà dei sentimenti in campo a rendere memorabile il film: picaresco, ironia sottilmente grottesca, tragedia, sadismo, sospetti, crudeltà, avidità, egoismo, disfacimento fisico e morale sono le caratteristiche più evidenti, tuttavia lo sviluppo e i fatti della vita lasciano spazio ad attimi fondamentali di aperture nell'intuibile, ossia sguardi da cui trapela un lampo di comprensione, rapporti ambivalenti di amore-odio (il biondo "buono" [C. Eastwood] e Tuco [Eli Wallach]), confronti fraterni lacerati da riprovazioni e tormentate incomprensioni (Tuco e padre Ramirez, interpretato egregiamente in poche inquadrature da L. Pistilli), le preoccupazioni del capitano Harper (Molino Rojo), gli squarci collettivi sull'orrore e la stupidità della guerra (commentata da melodie che danno un vero e diretto significato alla visione, con squilli di trombe così sapientemente modulati armonicamente da spazzare via ogni residuo di convenzionalità), l'"inutile" conforto ad un giovane soldato ferito, la crudeltà razionale di Sentenza (L. Van Cleef) in una delle sequenze più stranianti e disturbanti mai viste, dove la tortura è commentata per contrasto e con montaggio alternato alla fonte musicale interna, l'orchestrina di prigionieri costretti a suonare e cantare una melodia tra le più struggenti e malinconiche, una sorta di lamentosa e cullante barcarola nel deserto.
Fino all'apice finale, dove Ennio Morricone domina ed è una cosa sola con le immagini e il montaggio, in due sequenze tra le più memorabili: L'estasi dell'oro e Il triello. Nella prima il delirio e l'esaltazione avida del Tuco vortica letteralmente, correndo tra le tombe e intrecciandosi ai ritmi sempre più incalzanti e al climax melodico-armonico dell'orchestra e con l'entrata della voce femminile, quella di Edda Dell'Orso, i galoppi delle percussioni e le urla della tromba, che torna nel triello successivo ancor più esasperata e penetrante, nella quasi assoluta immobilità degli attori, ancora dentro un cerchio teatrale, con gli scrutamenti degli occhi, i contrasti tra primissimi piani e campi lunghi.
Su L'estasi dell'oro Sergio Miceli ha scritto: Questo è un caso tra i più evidenti di livello esterno, seppure calato nella mente del personaggio che ha l'idea fissa dell'oro (quindi con un'allusione alla funzione del livello mediato). Ma di vero e proprio livello mediato non si può parlare, perché il regista non ha inviato allo spettatore alcun segnale esplicito in proposito. [...] L'idea fissa dell'oro si traduce in una reiterazione della frase, quindi in un ostinato melodico con sottili variazioni (o per meglio dire "licenze"), che, come ha detto il Maestro Morricone, sono la conseguenza di una scrittura tesa alla ricerca dei sincroni, i quali per la loro "leggerezza" sono, appunto, sincroni impliciti; tranne quello sui fotogrammi finali coincidenti con la secca conclusione del pezzo, in cui Tuco trova finalmente la tomba col nome che cercava. [...] Facendo poi caso all'uso della mdp e al montaggio si possono individuare molte soggettive, specie sul finale, per cui lo spettatore s'identifica con il punto di vista di Tuco. Insomma, è un caso di concertazione audiovisiva totale [...] (Ennio Morricone, Sergio Miceli, a cura di Laura Gallenga, Comporre per il cinema, Biblioteca di Bianco & Nero).
Persino le ultime scene non scadono nel convenzionale, dove il "lieto" fine scherza ancora, sarcastico e con fare burlescamente liberatorio. 9 1/2

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