Regia di Sergio Leone vedi scheda film
“Il bello deve ancora arrivare”. Così concludevo la mia opinione su “Per qualche dollaro in più”. Il bello in questione arriva due anni dopo con “Il buono, il brutto, il cattivo”. Ancora qualche conferma rispetto ai due western precedenti, ma soprattutto grandi innovazioni, che già preparano al capolavoro assoluto, il successivo “C’era una volta il West”. Nel film ritroviamo per la terza volta Clint Eastwood. Sarà anche la sua ultima prestazione con Leone. Si porta dietro Lee Van Cleef e un buon numero di comparse delle due pellicole precedenti, mentre esce di scena Gian Maria Volonté, ormai destinato ad una delle più interessanti carriere del cinema italiano. Dopo il successo – anche discografico – delle precedenti colonne sonore, come rinunciare ad Ennio Morricone? Ad affiancare il “buono” (Eastwood) e il “cattivo” (Van Cleef), nelle vesti del “brutto” viene scelta una vecchia gloria del western americano, Eli Wallach, l’indimenticabile Calvera dei “Magnifici sette”di John Sturges. Più “che ad un “brutto”, però, fa pensare a Pig-Pen, il bambino sudicio dei fumetti di Linus e Charlie Brown. Il personaggio, Tuco (con la sua ventina di cognomi) riveste un ruolo quasi comico, analogo a quello che interpreterà cinque anni dopo Rod Steiger in “Giù la testa”. Leone cala questa volta il suo film in un preciso contesto storico, la Guerra di Secessione (1861 – 1865), che non si limita a fare da sfondo alla vicenda. Vengono mostrati soldati in divisa, battaglie, campi di prigionia, città devastate, armi automatiche, cannoni, trincee di un conflitto che, per modernità, violenza e orrori anticipa la carneficina della Prima Guerra Mondiale. Il tutto con una accuratezza delle ricostruzioni e una dovizia di particolari di straordinaria efficacia. Il fim è lunghissimo, ma lo si vorrebbe ancora più lungo per come scorre e coinvolge lo spettatore. Gli scenari mutano in continuazione. Ne elenco alcuni: il massacro di una famiglia ad opera di Lee Van Cleef/Sentenza (massacro ribadito e sviluppato nella strage dei McBain in “C’era una volta il West”); il salvataggio di Tuco dall’impiccagione (Clint Eastwood che spezza la corda con una fucilata); la crudele traversata del deserto (con il volto del troppo biondo Eastwood che si decompone sotto il sole) e la svolta “Bill Carson” con l’arrivo del carro pieno di cadaveri; il monastero e il frate fratello di Tuco (breve ma intensa partecipazione di Luigi Pistilli); la seconda traversata del deserto (questa volta tocca a Tuco soffrire); il negozio di armi (qui la passione del regista per i dettagli diventa arte); il campo di prigionia nordista e i soprusi subiti dai sudisti (situazione politicamente molto scorretta, ma realistica quanto efficace); il campo di battaglia intorno ad un ponte maledetto che costringe le due parti ad un’interminabile guerra di posizione. E’ il momento di soffermarsi su uno dei personaggi più riusciti dell’intero film: l’ufficiale nordista impersonato da un sorprendente Aldo Giuffré. Nei fumi dell’alcool, si concede un monologo di alta scuola sulla guerra, su quella guerra in particolare, con la sua inutile violenza, sadicamente voluta dai vertici militari. Si passa quindi alla magnifica esplosione del ponte e, di lì a poco, Tuco si trova davanti al famoso cimitero in cui sono nascosti 500.000 dollari. Ennio Morricone realizza per questa scena “L’estasi dell’oro”, uno dei suoi brani più penetranti. Inatteso e travolgente. Si termina con il leggendario “triello”. La musica torna a farla da padrona, insieme ai primi piani, alle inquadrature di occhi, dita, pistole, ciglia, peli nelle orecchie! Sembra il finale di una grande sinfonia. Il tempo è volato: 182 brevissimi minuti. Nel 1965, uscii dal cinema in uno stato di trance. Certo, ero giovane e molto emotivo, ma mi ci vollero alcuni anni per capire che “C’era una volta il West” era superiore...
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