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Il segno degli Hannan

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su Il segno degli Hannan

di degoffro
8 stelle

Superbo, poderoso ed appassionante thriller hitchockiano firmato da un autore per troppo tempo sottovalutato prima dei fasti de "Il silenzio degli innocenti" e "Philadelphia". Harry Hannan (uno straordinario, sobrio ed efficace Roy Scheider), mentre si trova in un ristorante con la moglie Dorothy, fa appena in tempo ad accorgersi dell'arrivo di alcuni killers, quando inizia una sanguinosa sparatoria nella quale la moglie rimane uccisa. Scosso e profondamente segnato, viene ricoverato in una clinica per riprendersi dallo shock e rimarginare così la ferita per la dolorosa perdita. Tuttavia, mentre attende il treno su una banchina, rischia di finirvi sotto per la spinta di uno sconosciuto, che subito si dilegua tra la folla. Quando raggiunge il suo appartamento a New York, lo trova occupato da Ellie Fabian, studentessa di antropologia che si scusa per l'errore dell'agenzia, ma rifiuta di andarsene. Harry giocoforza è costretto ad accettare la presenza della ragazza tanto da diventarne ben presto l'amante (unico punto debole e poco credibile di un film che fa di una sceneggiatura tesa ed avvincente, firmata David Shaker, la sua forza). La situazione è resa ancora più intricata da una lettera recapitata ad Harry e scritta in aramaico, il cui contenuto "il vendicatore di sangue" risulta quantomeno criptico. Harry, con l'aiuto di Sam Urdell, anziano agente dei servizi segreti israeliani "impegnati a proteggere gli ebrei sparsi nel mondo", incomincia a sbrogliare la pericolosa matassa: lui è nell'elenco dei 13 discendenti delle famiglie ebree (il film è tratto dal romanzo "The 13th Man" di Murray Teigh Bloom) che in passato si sono resi responsabili della tratta delle bianche, e come tale deve morire. Un suo antenato infatti, sotto la facciata di un'organizzazione di mutuo soccorso, in realtà gestiva bordelli, affare molto redditizio e proficuo. Resta da scoprire chi sia il vendicatore di sangue e la sorpresa sarà totale. Partendo da un soggetto tipicamente hitchcockiano (un uomo qualunque coinvolto, suo malgrado, in una misteriosa macchinazione nella quale inizialmente non capisce nulla ma di cui a poco a poco riesce a collocare i vari tasselli) lo stupefacente Demme dissemina con intelligenza ed eleganza il suo avvolgente e vibrante thriller di dotte, funzionali e mai gratuite citazioni (ci sono le stazioni, i treni, una donna che visse due volte, le forbici su un tavolo ideali per "un delitto perfetto", una doccia con la tendina che si pare all'improvviso), crea una suspense continua e crescente, grazie ad un ritmo serrato e martellante e alla musica ad hoc di Miklos Rozsa, evita inutili tempi morti o banali scorciatoie sentimentali, solo accennate per fortuna, regala un finale memorabile ed elettrizzante, magnificamente esaltato dalla smagliante e magica fotografia di Tak Fujimoto, collaboratore di fiducia del regista, alle cascate del Niagara dove il cotè romantico melo del film esplode in tutta la sua carica dirompente e travolgente (non a caso il titolo originale recita proprio "Last embrace"). "Il segno degli Hannan" conserva ancora oggi una tensione viva ed autentica, una carica emotiva trascinante ed un coinvolgimento assoluto a conferma che per la perfetta riuscita di un film di genere sono sempre essenziali una regia di polso e uno script sensato e intrigante, qualità che nessun ingarbugliato, rumoroso e tedioso thriller moderno sembra avere: se solo a Hollywood facessero ancora lavorare gente come Demme, forse non saremmo qui a rimpiangere certo cinema...
Voto: 7 e mezzo.

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