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Il corvo

Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film

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La recensione su Il corvo

di vermeverde
9 stelle

Il Corvo (titolo originale Le Corbeau) è un film del 1943 diretto da Henri Clouzot. La sceneggiatura, di Henri Chavance, riguarda la ricezione da parte di molti abitanti del paese di lettere anonime, siglate “Il Corvo” che ne rivelano i vizi e le disonestà, coperte da una facciata di perbenismo borghese. Il soggetto originale, però, è stato profondamente rimaneggiato dal regista (che iniziò la carriera come sceneggiatore) il quale ha anche riscritto molti dialoghi. Sono molti i personaggi, tutti ben tratteggiati e caratterizzati, che hanno un ruolo nelle vicende narrate: tuttavia, sono centrali le figure del dottore Remy Germain (Pierre Fresnay), attratto da due donne, Laura (Micheline Francey) moglie del medico psichiatra Michel Vorzet (Pierre Lorquey) e la dissoluta ma non ipocrita Denise (Ginette Leclerc).

Il film fu girato negli anni dell’occupazione nazista e Clouzot fu osteggiato politicamente sia da destra che da sinistra sia perché fu realizzato da una società di proprietà tedesca sia perché dava un ritratto piuttosto negativo della borghesia francese che avrebbe potuto giustificare l’occupazione: tali posizioni appaiono oggi del tutto infondate, oltre che inutili e fuorvianti per la valutazione estetica della pellicola.

È proprio la resa artistica il punto di forza del film che, nonostante siano passati otto decenni dalla sua realizzazione, non mostra segni di invecchiamento. Trovo esemplare la stringatezza dello stile che rende il film teso e avvincente, anche se il ritegno del regista lo induce spesso più a suggerire che a mostrare le azioni; la narrazione è fondata sulla successione di sequenze mai troppo lunghe o insistite che si giovano di un montaggio serrato, una notevole attenzione nel mostrare particolari sintomatici (tratti stilistici che, a parer mio, lo possono apparentare a Bresson pur con innegabili differenze) e si esprime per mezzo di accurate inquadrature e dialoghi pregnanti: Clouzot riesce ad essere interessante senza essere “spettacolare”.

L’interpretazione degli attori è ottima essendo tutti efficaci nell’impersonare i propri personaggi, in particolare spicca quella di Pierre Fresnay che delinea il dottor Germain come “un ombrello chiuso nel fodero”, per usare le parole di Denise.

Il senso del film più che nella descrizione dei fatti consiste nel porre in evidenza l’inscindibile commistione di bene e di male presente in ogni persona, per cui anche i “buoni” hanno il loro lato oscuro e i “cattivi” hanno le loro ragioni (come sottolineato nel dialogo fra i dottori Germain e Vorzet dalla metaforica oscillazione della lampada), per cui gli uomini hanno la tendenza a evidenziare le mancanze degli altri per sterilizzare le proprie. L’intento allusivo del film è sottolineato anche dalla voluta indeterminatezza del luogo dell’azione sebbene la storia sia ispirata da fatti realmente avvenuti anni prima.

In conclusione, lo considero un grande film, tuttora valido, di un grande regista che merita senz’altro la visione.

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