Regia di Elio Petri vedi scheda film
Un funzionario della RAI ritrova un vecchio amico che fa l’insegnante, ha sposato una donna molto più ricca di lui e gira con una pistola in tasca per il timore di essere ucciso: il che, puntualmente, avviene. L’unica cosa che funziona è lo sfondo: i telegiornali che raccontano solo omicidi e relativi funerali, le strade invase dalla spazzatura e percorse da cani da guardia, la riproduzione di Guernica dietro la scrivania per suggerire una condizione di sfacelo. In primo piano c’è però un guazzabuglio informe e indigeribile, che guarda pretenziosamente al Buñuel del Fantasma della libertà ma fallisce in pieno proprio sul versante del grottesco: storie sbalestrate, personaggi senza interesse (Giannini impomatato strabuzza gli occhi e parla con voce biascicante, gli altri più o meno si adeguano), elementi buttati lì a caso (la condizione ebraica di Bonacelli, il dubbio che sia stato ucciso per errore al posto di un uomo politico). Il concetto è chiaro: la situazione è tragica, ma non seria; tuttavia bisognava dirlo con un certo stile. Petri al suo ultimo film dà l’impressione di essere ormai fuori dal cinema, fuori dal mondo.
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