Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
Cambiare il titolo dell'opera dall'originale Major Dundee con quello di Sierra Charriba, finisce con il rovinare le intenzioni originarie di Sam Peckinpah, a cui della figura del ribelle indiano non gliene fregava un bel niente, alla luce della sua mera natura di mcguffin il cui scarso minutaggio nella pellicola è rivelatorio del fatto che al regista interessasse invece indagare la figura del maggiore Amos Dundee (Charlton Henston) e del suo manipolo di uomini sbandati, raccolti per la gran parte tra criminali incarcerati e soldati confederati ora prigionieri tra cui l'ex amico Benjamin Tyreel (Richard Harris), a cui si aggiungeranno degli elementi dell'unione tra cui il trombettiere Ryan, l'artigliere Graham, il reverendo Dahlstrom, la guida Potts (James Coburn) con l'aiutante indiano apache civilizzato di nome Ringo e per finire un manipolo di ausiliari di uomini di colore, che si offrono volontari perchè stanchi di svolgere mansioni degradanti nell'esercito.
Un mucchio selvaggio che a differenza del successivo film però, qui è riunito tutto insieme assurgendo a chiara rappresentazione in scala della composizione etnica e sociale degli Stati Uniti, le cui spinte centrifughe sono tenute appena a bada dall'obbiettivo della cattura o uccisione dell'apache Sierra Charriba, che con meno di 50 uomini, semina morte, scorrerie e distruzione nei vasti territori del nuovo Messico, attaccando gli insediamenti dei coloni americani e sconfiggendo i deboli reparti di cavallerie dell'Unione fiaccati da circa 4 anni di ininterrotta e sanguinosa guerra civile contro gli stati confederati e che non accenna a terminare ancora nel 1864.
Bianchi dell'unione, confederati del sud, nativi americani civilizzati e uomini di colore (mancano solo i latinos e abbiamo tutti), sono un gruppo di uomini eterogeneo per composizione il cui stare uniti sotto una bandiera può essere imposto solo da un obiettivo esterno unificatore, che di volta in volta quando viene raggiunto deve essere immediatamente cambiato, altrimenti emergono le differenze che poi degenerano in scontri violenti. Sam Peckinpah è sempre stato un attento osservatore della realtà del suo paese, sfruttando il genere western per compiere un'analisi della politica americana e della violenza connaturata in essa, perchè mezzo necessario per tenere unito un paese nelle diversità dirottandone l'aggressività verso un nemico esterno che funge da unificatore come all'interno del film, prima gli indiani apache e poi i francesi di stazza in Messico, in cui i nostri si sono spinti per cercare Sierra Charriba.
Il capo di questa massa frammentata di sbandati è il maggiore Dundee, che gestisce il gruppo con metodi violenti per reprimere ogni indisciplina e vivendo totalmente per la guerra. Gli Stati Uniti hanno poco meno di 250 anni dalla loro nascita, eppure quasi la totalità della loro esistenza l'hanno trascorsa in guerre grandi o piccole con periodi di pace che se sommati insieme, non raggiungono neanche i 20 anni, quindi l'attitudine alla violenza e alla guerra è inserito nel DNA di questa nazione, che necessita di catalizzare le spinte disgregatrici del fronte interno, dirottandone l'aggressività verso degli obiettivi esterni unificatori; dal principio gli inglesi, poi gli altri stati europei, successivamente i nativi americani, poi i messicani, ancora dopo i loro stessi fratelli del sud, passando per due guerre mondiali, la Corea, il Vietnam, le due guerre del golfo e chissà quanti altri conflitti che ho dimenticato.
Dundee non è più il classico maggiore della cavalleria tipico dei film di Ford, è una figura molto più profonda e sfaccettata nella psicologia magistralmente riportata in scena grazie alla bravura di Charlton Henston, classico nella sua statura attoriale nell'esprimere il degrado morale di un uomo che per fare carriera ha fatto cacciare via dall'esercito il suo miglior amico Tyreel e successivamente per ambizione ha combinato grossi casini a Gettysburg ed è stato relegato a guardiano di una prigione, compito che sente come umiliante, non vedendo l'ora di fare qualsiasi cosa pur di lasciarlo e Sierra Charriba rappresenta il biglietto d'uscita. Dundee incurante delle asperità del terreno, dei confini e della giurisdizione, avanza cocciutamente alla ricerca dell'apache, facendo emergere sempre più la diffidenza tra i componenti del reparto; confederati contro i neri, indiani contro bianchi e nordisti contro suddisti, il maggiore Dundee con la sua ostinazione distruttiva, rappresenta un ulteriore fattore di disgregazione, per far fronte al quale, non trova nient'altro di meglio da fare, che trovare costantemente un nemico esterno per far sfogare l'aggressività del suo reparto in un tripudio di violenza, polvere e sangue, dimostrando in tal modo di essere totalmente incapace di trovare una via alternativa alla forza nell'unire insieme questa massa sbandata, che non rappresenta altro che una riduzione in scala della società multietinica statunitense, con i suoi eterni conflitti latenti.
Dundee è nato per la guerra e vivrà sempre per essa, continuando nella sua spirale autodistruttiva fatta di continue bottiglie di alcool per soffocare l'umiliazione verso un ruolo attuale percepito come mortificante, trovando sfogo al suo malessere con un continuo peregrinare senza mai fermarsi, pena doversi poi soffermare sui problemi che lo attanagliano e mettere seriamente in discussione la propria condotta di vita. Se il maggior Dundee nell'autodistruzione trova una simpatia da parte del regista, sicuramente Peckinpah è come sempre dalla parte dei perdenti, in questo caso i suddisti ritratti a 360° con tutti i loro difetti, cominciando dal contraddittorio Tyrell, emigrato irlandese poi arruolatasi in un esercito che lo ha cacciato e poi divenuto combattente per la confederazione, battendosi assurdamente per far si che i ricchi proprietari terrieri delle piantaggioni, possano continuare i loro affari tramite lo sfruttamento di una vasta manodopera schiavile, mandato a crepare gente umile come Tyreel, il quale rischia la vita per dei terreni di cui mai sarà proprietario. Gli uomini sono animali dediti alla violenza, però i confederati del film hanno poche ma semplici regole, come il rispetto della parola data sul non cercare di disertare fino alla cattura o uccisione di Charriba, contando sull'amnistia per i loro reati in caso di successo dela missione. Questo lungo percorso epico che ricorda un pò il Sentieri Selvaggi di John Ford (1956), viene messo in scena in Messico, paese prediletto dal regista, che si dimostra profondo conoscitore delle dinamiche storiche del luogo e della gente umile che vi vive, ma solidale sempre nonostante le avversità che si ritrova a dover affrontare.
Peckinpah mette in scena violenza cruda e sequenze liriche che approfondiscono l'animo dei suoi personaggi, toccando l'apice cromatico e figurativo nella battaglia campale finale contro l'esercito francese, dimostrando le sue notevoli doti come regista di azione nonostante i mezzi tecnici ben lontani da quelli odierni, restituendoci uno scontro violento e sanguinoso tra uomini in cui si respira epica a pieni polmoni, tra cariche di cavalleria, colpi di artiglieria e scontri all'ultimo sangue a suon di colpi di fucile e incroci di spada, lottando metro dopo metro per raggiungere la propria casa, in attesa poi di ributtarsi in un'altra guerra ed in altre battaglie.
Sierra Charriba è un grande film, il vero cinema western, non quello di Ford che per quanto innovativo e fondatore di determinati stilemi, comunque si fa portatore di una visione troppo romantica ed iper-semplificata di quello che era un vero e proprio stato di natura, di capolavori ne ha fatti molti ed è inutile negarlo, però Sergio Leone e poi dietro di lui Sam Peckinpah sono coloro che hanno sfruttato appieno il potenziale del western avvicinandosi parecchio a quello che doveva essere la frontiera americana a quel tempo; non fu un caso che i produttori sfasciarono l'opera del regista riducendo gli originari 156 minuti di durata a 136 e poi dopo il massacro da parte della critica nelle anteprime, tagliarono ulteriori minuti per giungere ad una versione da 120 minuti che fu un fiasco ai botteghini, presentando notevoli buchi ed incongruenze. La versione da me visionata dura 136 minuti ed è la director's cut, termine in realtà improprio visto che il regista non ha approvato mai questa versione, che comunque ha dei difetti nel montaggio, specie nelle digressioni qua e là dei singoli personaggi che sono state barbaramente tagliate e altre scene non vennero mai girate per revoca del budget a regista, ma in assenza di altro e confidando in un recupero futuro in madrepatria della versione voluta da Peckinpah, questa da 2 ore e 15 minuti, resta il cut da recuperare.
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