Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
“Sei un cavaliere fallito, nient'altro che un contadino irlandese col vestito della festa che vuol combattere per le grandi proprietà terriere che non ha mai avuto...”.
“E tu, invece? Com'è che ti vedi esattamente, maggiore Dundee? Hai mai pensato perchè ti hanno messo a comandare una prigione invece di un reggimento?”.
[Charlton Heston e Richard Harris]
“Nel territorio del New Mexico, verso la fine della Guerra Civile, un capo indiano, Sierra Charriba, con i suoi 47 guerrieri Apache, teneva sotto il terrore delle sue scorrerie una regione grande quanto quasi tre volte il Texas. Il 31 ottobre 1864, al ranch Rostes, un intero squadrone del 5° reggimento Cavalleria, inviato da Fort Benlin per affrontarlo, cadde in un'imboscata e fu completamente distrutto. Dobbiamo a Timothy Ryan, trombettiere di quel reparto e unico superstite, la cronaca del tragico episodio e degli avvenimenti che seguirono”.
Sul luogo del massacro giungono i soldati del maggiore Amos Dundee (Charlton Heston), esercito nordista, attesi da uno spettacolo raccapricciante: cadaveri e distruzione, nessun sopravvissuto al di fuori dei tre bambini maschi del ranch, rapiti dagli indiani di Charriba (Michael Pate). Per liberarli, vendicare la strage e catturare il sanguinario capo Apache, Dundee si ritrova costretto, a causa della penuria di uomini, ad assoldare un esercito di rinnegati, prigionieri sudisti, tra cui il capitano Benjamin Tyreen (Richard Harris), disertori, ladri e assassini:
“Avrò anche bisogno di un uomo con qualche esperienza di comando e a lui darò le funzioni di tenente. Capitano Tyreen, la prospettiva di tornare a servire la bandiera della patria non ti attrae di più che continuare a trascinare le catene in una prigione?”.
“Non è la mia patria, maggiore. E sia maledetta insieme a te, perchè piuttosto mi faccio impiccare, che servirla!”.
La missione è disperata (“Charriba non si prende con gente che ha marcito per anni in un forte”), ma Dundee, dopo una faticosa selezione, si lancia ugualmente con il suo piccolo esercito verso il Messico (“Non ti è venuto in mente, maggiore, che Sierra Charriba passerà nel Messico per sfuggirti? E il Messico è attualmente presidiato da trentamila soldati francesi!”), pronto ad affrontare il deserto sulle tracce degli Apache: al suo fianco, oltre al capitano Tyreen, ai suoi quattro compagni, il sergente Chillum (Ben Johnson), i fratelli O.W. e Arthur Hadley (Warren Oates e L.Q. Jones) e Jimmy Lee Benteen (John Davis Chandler), in tutto una ventina di prigionieri sudisti, partono da Fort Benlin la guida Samuel Potts (James Coburn), il tenente Graham (Jim Hutton), il sergente Gomez (Mario Adorf), il trombettiere Timothy Ryan (Michael Anderson jr.), scampato al massacro del ranch Rostes (la cui voce fuori campo scandisce, dalle pagine del suo diario, il resoconto della vicenda), il ladro di cavalli Benjamin Priam (Dub Taylor), l'ubriacone Wiley (Slim Pickens), esperto con i muli, il reverendo Dahlstrom (R.G. Armstrong), che anni prima celebrò le nozze dei defunti coniugi Rostes e ora si offre volontario per vendicarli (“Colui che ha distrutto il mio gregge, anch'io distruggerò”), il soldato Aesop (Brock Peters) e i suoi sei compagni neri (“Sono due anni che puliamo le stalle, ne abbiamo abbastanza!”), Riago (José Carlos Ruiz), la guida indiana di Fort Benlin scomparsa dopo il massacro del ranch Rostes, e un traditore Apache con un conto da regolare con Charriba.
“È il 7 novembre e siamo pronti. Tutti volontari: civili, criminali, sudisti e negri”.
Attraversano il Rio Grande, scovano Charriba, riuscendo a mettere in salvo i tre bambini grazie all'intervento di un vecchio indiano Chiricahua, ma senza poter evitare la fuga del capo Apache. Riprendono la caccia, ma in Messico li attenderà l'inferno: il deserto (“10 gennaio. Stanotte ne sono morti altri due. Ho paura che tutti i feriti moriranno, se non ci fermiamo, e chissà pure se qualcuno di noi si salverà. Come sembra lontana la guerra contro il Sud, adesso”), le truppe francesi di Massimiliano I, gli assalti di Charriba. Riparano in un villaggio, che liberano dall'occupazione francese e trasformano nel loro accampamento: “Eravamo entrati nel villaggio per impadronirci dei viveri e invece stiamo regalando quei pochi che abbiamo alla popolazione affamata”. Dundee, che non tarda ad innamorarsi di Teresa Santiago (Senta Berger), vedova austriaca del medico del villaggio (“ma curava anche i seguaci di Juárez. L'hanno impiccato, qui, con gli altri”), ha un piano per rubare ai francesi le armi e i cavalli necessari per riprendere l'inseguimento di Charriba:
“Prima di mezzanotte voglio che tutti gli uomini del reparto siano ubriachi fradici dal primo all'ultimo. A questo punto i prigionieri scapperanno a chiedere aiuti, ma noi non ce ne accorgeremo fino all'alba. Domani sera, dopo averci inseguito per tutta la giornata, la cavalleria francese si accamperà per attaccare il mattino seguente la nostra banda di avventurieri. Noi, però, approfittando della notte, gli ruberemo anche la camicia e ce la squaglieremo”.
“Sai che cosa ti dico? O tu sei una stella di prima grandezza nel firmamento dei geni militari mondiali, o sei il più irresponsabile pazzo del Messico settentrionale”.
“Lo credo anch'io”.
La tensione tra i soldati nordisti e quelli sudisti dell'esercito di Dundee monta inesorabilmente quando O.W. Hadley fugge di nascosto dall'accampamento: il soldato, accusato di diserzione, viene impietosamente condannato a morte da Dundee, scatenando la rabbia di Tyreen. Dopo il raid notturno, inoltre, il loro nascondiglio non è più sicuro e si ritrovano ben presto intrappolati tra due fuochi, costretti a difendersi sia dalle scorribande degli Apache che dalla rappresaglia delle truppe francesi. A Dundee non resta che un'ultima carta: tornare verso il Rio Grande per far credere a Charriba di voler fuggire in Texas e tendergli, invece, una trappola. Lo scontro con gli Apache dura un'intera notte, ma all'alba il capo indiano e i suoi guerrieri vengono sconfitti. Non è ancora finita, però: “Noi avevamo dimenticato i francesi, ma i francesi non avevano dimenticato noi”.
Nel 1963, forte del successo di un capolavoro come Sfida nell'Alta Sierra, Peckinpah riceve dal produttore Jerry Bresler della Columbia l'offerta di girare Major Dundee, kolossal western dal faraonico budget di quattro milioni e mezzo di dollari. I problemi sorgono già prima dell'inizio delle riprese, quando la Columbia riduce improvvisamente il budget a tre milioni di dollari, scatenando la furia del regista verso le alte sfere degli studios. A metà riprese Peckinpah viene addirittura licenziato: la solidarietà degli attori, che minacciano di seguirlo e abbandonare il set, oltre all'intervento diretto di Charlton Heston, che rinuncia al proprio compenso per finanziare il film, convincono i produttori a riprendere la lavorazione. Peckinpah viene comunque raggirato: credendo, infatti, di poter disporre del final cut, gira un'infinità di materiale (per oltre quattro ore di durata, nelle intenzioni iniziali), ma sarà Bresler a occuparsi del montaggio, massacrando il film all'insaputa del regista californiano, nel frattempo impegnato nelle riprese di Cincinnati Kid (verrà poi sostituito, dopo pochi giorni, da Norman Jewison). Rimarrà fuori dal giro che conta per quasi cinque anni, quando tornerà al cinema, cattivo e implacabile, con Il mucchio selvaggio. I germi di quel film, magnifico (e marcio) snodo cruciale nella storia (della fine) del cinema western, con cui Peckinpah contribuirà ad assestare altri (primadopoinsieme ad Altman, Penn, Rafelson, Pollack, Hellman, Nichols, Hopper, ecc...) poderosi scossoni alla Hollywood dei dinosauri, appaiono, nonostante il martirio produttivo, già efficacemente delineati in Major Dundee: il momento dell'elegia crepuscolare, dei toni malinconici di Sfida nell'Alta Sierra, dell'eroismo commosso (e commovente) del suo protagonista Steve Judd stanno, infatti, lasciando il passo alla cronaca dolente e impietosa della fine. Di un genere, mai più risorto dalle ceneri dei Seventies, di un mito (la Frontiera, spazzando via ogni aura di leggenda ed esibendone brutalmente, in ossequio alla Storia, i suoi lati più oscuri) e, contestualmente, di un'epoca, fotografata nella solennità del tramonto. Sebbene lo sguardo dell'autore continui sempre a volgersi al cinema di Ford e Hawks (la geometrica attenzione fordiana della macchina da presa alla vastità degli spazi e alla profondità di campo, ad esempio, o la figura tormentata dell'eroe hawksiano, lanciato in una sfida apparentemente impossibile), lo scarto verso gli illustri modelli si compie nell'estremizzazione realistica e nella ricerca dell'autenticità: la Cavalleria di Peckinpah, l'esercito del maggiore Dundee, novello capitano Achab (e protagonista usurpato nel titolo della versione italiana, che gli preferisce, forse per lo scarso appeal della traduzione, il capo Apache), è, infatti, un “mucchio selvaggio” già sporco e violento, una fetida marmaglia di ladri, assassini, prigionieri, vecchi ubriaconi e disertori, sacerdoti maneschi e soldati, che restano, però, pur sempre un manipolo di (anti)eroi alle prese con l'ennesima (e, per molti, l'ultima) missione disperata. Eroismo e coraggio, quindi, ma anche ambizione, follia, umiliazione, arroganza, fallimento e redenzione (e la conseguente trasformazione dell'eroe in loser, aggiornamento/reprise revisionistica del noir degli anni Quaranta), l'innocenza violata (il personaggio del trombettiere Ryan, ma anche, per certi versi, quello del tenente Graham), la lealtà verso i propri compagni, il senso di giustizia in una terra (e tra uomini) senza legge (“Il guaio di questo paese è che lo sceriffo è a tre giorni di cavallo da qui”, si lamentavano i coloni di Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens, non a caso uno dei film preferiti di Peckinpah), il Messico, la fiesta nel villaggio, il cinismo della vena ironica, il sangue delle ferite e la brutalità della guerra (e della morte), l'esibizione sfrontata della violenza, sottesa dal nichilismo dello sguardo (anche in Major Dundee: il finale originale, infatti, prevedeva la morte di tutti i protagonisti, a eccezione del trombettiere/narratore Ryan) per esorcizzarne la paura. Mancano solo i ralenti (tagliati senza pietà in fase di montaggio) nelle scene di battaglia, altrimenti i punti di contatto (narrativi, estetici, formali) con il capolavoro successivo risalterebbero con ancora maggiore evidenza.
Il soggetto originale di Harry Julian Fink (all’esordio sul grande schermo) conquista subito Jerry Bresler, che incarica lo sceneggiatore di occuparsi velocemente della stesura del copione: il manoscritto, di oltre 350 pagine, viene poi affidato in fretta e furia dal produttore (Heston, infatti, aveva già firmato il contratto per il suo film successivo e, con un minimo ritardo sulle tabelle di marcia, la Columbia avrebbe rischiato di perderlo) a Peckinpah e a Oscar Saul (autore dell’adattamento di Un tram che si chiama desiderio di Kazan) con il compito di ridurne drasticamente la lunghezza: le riprese, però, iniziano con uno script incompleto, terminato frettolosamente durante la lavorazione del film (evidente lo squilibrio di toni, in termini di raffinatezza di scrittura, tra la prima parte, più meditata e accorta, e la seconda, concitata e meccanica). Va anche aggiunto che il progetto Major Dundee era un'impresa mastodontica e dalle enormi potenzialità, sia per i molti spunti forniti dal soggetto, che per le indubbie qualità spettacolari: le difficoltà di realizzazione, perciò, finirono per gravare oltre misura sulle spalle di Peckinpah, al suo terzo lavoro, senza oltre tutto poter contare sulla proficua collaborazione degli studios, che preferirono invece ostacolarlo e poi abbandonarlo a se stesso, come testimoniato dall'inesperienza di molte soluzioni adottate, sia organizzative (le locations, scelte spesso a distanze proibitive per una troupe imponente come quella del film, con conseguente aumento di spese e disagi), che creative (metà lavorazione ultimata senza ancora una sceneggiatura completa: fu questo il motivo principale - oltre alla volontà di mostrare, con l'avanzare della missione, il progressivo decadimento fisico e morale dei soldati - per cui il film venne girato quasi interamente in sequenza). Nella filmografia dell'autore, Major Dundee costituisce, perciò, il “film imperfetto” per eccellenza, l'esaltante (e irrinunciabile) sfida impossibile in cui sbrigliare il proprio talento, un western crudo e avvincente, squassato, nel suo incedere epico e incalzante, da improvvisi sussulti di tensione e furore sanguinario, ma che forse, anche senza gli scempi della produzione, non sarebbe stato comunque un capolavoro, perchè sospeso precariamente tra vecchio e nuovo, eccessivamente brutale (e infatti verrà addomesticato) per un pubblico non ancora preparato a sporcarsi con polvere e sangue, oltre che irrisolto e confuso in alcuni snodi cruciali del plot (la fiacca sottotrama sentimentale tra Charlton Heston e Senta Berger, la redenzione del protagonista, drammaturgicamente debole).
Molte, in ogni caso, le pagine affascinanti: il maggiore Dundee di fronte ai prigionieri sudisti radunati in catene, l'entrata in scena di Jim Hutton (la gag del sigaro con Charlton Heston), la partenza da Fort Benlin, con i soldati a cavallo che cantano quattro diverse canzoni (The Battle Hymn of the Republic e Dixie, ovvero gli inni nordista e sudista, e Oh My Darling, Clementine e Shall We Gather at the River), la lite notturna nell'accampamento tra i soldati, il combattimento tra Potts e Riago durante la sera della vigilia di Natale, interrotto dall'arrivo del vecchio indiano Chiricahua, lo scontro sul fiume con gli Apache di Charriba, i due cani pelle e ossa intenti a rosicchiare gli ultimi brandelli di carne dallo scheletro di un animale, l'arrivo al galoppo nel villaggio messicano e la resa dei soldati francesi della guarnigione (“Il maggiore Dundee della Cavalleria statunitense vi saluta e vi dà cinque minuti di tempo per consegnare le armi e i magazzini, altrimenti aprirà il fuoco”, “Non oserà farlo, sarebbe un atto di aggressione verso una nazione amica e una palese violazione del diritto internazionale”, “Capitano, il maggiore non ne sa di diritto... Vi restano quattro minuti”), la festa in onore dei soldati di Dundee, le gag sentimentali tra il trombettiere Ryan e la giovane Linda (interpretata dalla messicana Begoña Palacios, che Peckinpah conobbe sul set e sposò pochi mesi dopo), l'agguato notturno alla guarnigione francese, contrappuntato in colonna sonora da uno straniante (e memorabile) commento musicale di Amfitheatrof, l'esecuzione di Warren Oates, le frecce indiane contro Charlton Heston e Senta Berger dopo il bagno nel fiume, la battaglia finale contro l'esercito francese.
Splendida fotografia di Sam Leavitt, magnifica colonna sonora (comunque non gradita da Peckinpah, che tentò inutilmente di limitarne l'invadenza) di Daniele Amfitheatrof, che firma anche l'epica e trascinante Major Dundee March (su testi di Ned Washington), eseguita dalla Mitch Miller's Sing Along Gang, cast strepitoso: da Charlton Heston, che, nonostante le contraddizioni con cui lo script tratteggia il suo personaggio, sfodera una delle interpretazioni fondamentali della carriera, a Richard Harris, da Jim Hutton a James Coburn (il migliore insieme a Harris), fino ai fedelissimi di Peckinpah come Warren Oates, Ben Johnson, Slim Pickens, L.Q. Jones, R.G. Armstrong, Aurora Clavell e a Senta Berger, Mario Adorf, Michael Anderson jr. e Brock Peters.
In occasione del quarantennale del film venne approntata una nuova versione montando altri 12 minuti di pellicola: tra le sequenze recuperate, la cattura del capitano Tyreen, evaso da Fort Benlin insieme ai suoi quattro compagni, molte scene di raccordo con i soldati in marcia e la voce fuori campo del trombettiere Ryan, il combattimento tra Potts e Riago (abbondantemente sforbiciato nella versione originale), la fiesta nel villaggio messicano, ora molto più lunga, la convalescenza di Dundee a Durango dopo essere stato ferito alla gamba da una freccia (prima di essere scoperto da Teresa a letto con la messicana Melinche), il ritrovamento di Riago, brutalmente torturato da Charriba.
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