Regia di Emir Kusturica vedi scheda film
Ogni giorno, sotto ogni riguardo, progredisco sempre di più! Romanzo di formazione tradotto in film, ambientato nella Sarajevo degli anni ’60. Praticamente perfetto. Il genio di Kusturica si rivela con discrezione.
Più passa il tempo e più sono affezionato a questo film praticamente perfetto, basato su un testo di Abdulah Sidran, scrittore e poeta bosniaco recentemente scomparso, testimone dei mille rivolgimenti che hanno interessato la sua martoriata città nell’arco degli ultimi sessant’anni. A parte l’ammirazione per l’uso delle immagini, l’eloquenza delle riprese in soggettiva, il montaggio e l’inventiva di alcune scene, è difficile rimanere freddi nei confronti di questo film, potente trasmettitore di atmosfere e, soprattutto, emozioni. Il genio del ventiseienne Kusturica si rivela con discrezione: non ci sono effetti speciali, non ci sono scene spettacolari, non vi è citazionismo e non è un film “a tesi”. Rivedere “Ti ricordi di Dolly Bell” è come riaprire una delle “capsule del tempo” di Warhol: percepiamo la sensazione di qualcosa che è realmente esistito ma con cui abbiamo ormai perso i legami e ciò basta per rendere il contenuto prezioso. Nella famiglia musulmana del protagonista adolescente, il padre è un sincero comunista che verbalizza addirittura le riunioni di famiglia come fossero sedute del “partito”. Umanissimo nei suoi tic paternalistici, maschilisti e con una buona propensione al consumo di alcoolici, non si cura della miseria che ha intorno perché attende il futuro radioso promesso dalla “moderna”, limpida ideologia. Accetta dunque con distacco la pioggia che entra in casa dal tetto fatiscente, attendendo che il socialismo gli allestisca un alloggio moderno della “Nuova Sarajevo”, visibile sullo sfondo, e di cui né i protagonisti del film, né gli stessi autori immaginano il terribile destino. Allo stesso modo accetta l’arrivo della morte, emozionandosi per l’articolo di una rivista in cui si favoleggia addirittura della possibilità di raddrizzare l’asse terrestre per ottenere l’eterna primavera e di prosciugare l’Oceano Indiano per aumentare le terre da coltivare. Si tratta a mio avviso della scena più commovente del film: chiunque la veda, non può avere dubbi sul fatto che il socialismo sia stato, prima di tutto, una “fede”. Per contrasto, gli occhi del giovane protagonista ci restituiscono un interesse per il privato, per il sesso e l’amore (impersonati da “Dolly Bell”), e per tutto ciò che “luccica” nel vicino occidente. Nella casa del popolo frequentata dal protagonista si guarda “Europa di notte” di Blasetti e si suona “Ventiquattromila baci” di Celentano (non diversamente da come – ce lo ha ricordato Nanni Moretti nel suo “Aprile” - nelle sezioni della FGCI degli anni ’70 si guardava “Happy Days”). E’ il rock del “Molleggiato”, suonato nei locali della malridotta sezione del partito con gli strumenti procurati dai burocrati, nella sua struggente tonalità minore, a sottolineare l’irresistibile nostalgia di quel periodo: il “ti ricordi?” del titolo. E mi sovviene il fatto che Celentano compare anche ne “La Dolce Vita” di Fellini (autore al quale Kusturica ha esplicitamente dichiarato di essere affine), lì testimone di un benessere che si è rivelato (Balzachianamente) “illusione perduta”, qui ancora ben lontano dall’essere stato raggiunto ma apparentemente a portata di mano, e pertanto sinceramente agognato. E mi sovviene il fatto che nel regime Jugoslavo la cultura occidentale non veniva vista come un pericolo, ma come una “sfida”, rispetto alla quale si doveva cercare di stare al passo e di aver letto da qualche parte che ciò accadeva (a differenza di altri paesi socialisti) perché il Maresciallo Tito si rivolgeva direttamente ai “giovani” nell’intento di indebolire chiunque, più maturo e organizzato, potesse mettere in dubbio la sua leadership. Ma questa è un’altra storia di cui, purtroppo, tanti hanno subito le conseguenze.
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