Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
Un bel film, ma non memorabile, come pure passa. Troppo lungo, spesso ci sono passaggi poco significativi, ma ce ne son anche di intensi. Tra questi ultimi, lo splendido finale eroico della resistenza napoletana, e l’assalto alla farina. Scene come queste rendono bene la disperazione indotta dalla guerra, che nel film serpeggia sempre di più, fino ad essere una variabile incontrollabile, frustrante fino alla pazzia. Ogni momento i protagonisti credono di salvarsi e sono esposti alle più atroci sorprese. Belli anche certi intermezzi amorosi, più che altro per i risvolti drammatici.
Il film è molto più apprezzabile verso la fine. Sordi recita alla grande, come tutti quelli attorno a lui, la parte della vittima degli eventi. Tali erano questi soldati italiani, in balia di un destino tragico, per cui quell’8 settembre è rimasto famoso: la gioia per la fine di una guerra, mischiata alla beffa dell’arrivo efficiente, rapidissimo e inesorabile dei nazisti, che annullava tale vantaggio, e faceva sprofondare nel terrore.
La sceneggiatura (Age e Scarpelli,…) non indulge in facili letture retoriche: ci sono gli italiani vittime delle follie del fascismo, come anche coloro che il fascismo avevano sostenuto, con i suoi deliri di grandezza, falsi, e le conseguenti ricadute tragiche nell’ampiamente prevedibile disastro bellico. Alla fine quasi tutti sono disertori, ma non possono essere condannati, in quanto vittime delle scelte raccapriccianti di Mussolini. Più che altro, vittime della storia; o, per meglio dire, vittime dei potenti della storia, tanto più potenti quanto più iniqui e indegni.
Nel finale apparentemente vittorioso c’è tutta l’auspicio verso il riscatto della dignità italiana: in parte generico e improbabile, in parte reale. Di certo c’è la mancanza di coralità popolare nelle scelte di fondo: che è una mancanza culturale e storica, prima che etica. Allora, nel ’60, un film così ripercorreva situazioni drammatiche di appena 17 anni prima: ancora fresche, e necessariamente da ripercorrere; oggi a noi la sottolineatura su certi casi particolari sfugge.
Ma, in generale, il meglio del film lo si ricava dall’incertezza esistenziale che la guerra dissemina, una guerra che si è costretti a fare, senza reali motivazioni interiori, e quindi soprattutto odiandola.
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