Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
”Tutti a casa” è tra i film che più mi hanno colpito, e si sono sedimentati nella memoria, fin da quando lo vidi negli anni dell’adolescenza e a tutt’oggi conserva la sua presa; diretto da Luigi Comencini (appartenente a quella schiera di registi che hanno tenuto alta la qualità del cinema italiano), è uscito nel 1960, anno d’oro per la cinematografia italiana. Questo film racconta le peripezie di un gruppo di soldati, di stanza nel Veneto, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 la cui ambigua dichiarazione condusse al disorientamento delle strutture gerarchiche e al caotico disfacimento dell’esercito, con l’aggravamento dalla concomitante occupazione nazista, divenute da alleate nemici: al riguardo dello stravolgimento in atto e del disorientamento generale, è emblematica dello la folgorante breve scena dell’apparizione di un marinaio a cavallo (!).
Tutti a casa esteriormente he l’apparenza di una commedia all’italiana, in realtà molto amara; narra l’odissea di quattro militari le cui tappe illustrano le tragiche condizioni in cui versava l’Italia: le città e i paesi devastati dai bombardamenti, la penuria di generi alimentari e il conseguente fenomeno della “borsa nera”, l’assalto ai rari treni circolanti, la persecuzione degli ebrei, le angherie dei nazifascisti e i lavori forzati per l’Organizzazione Todt: per tutti e quattro il tornare a casa si rivela una fallace illusione di serenità, drammaticamente smentita dai fatti. Il film, però, mostra anche il percorso di maturazione del protagonista, il sottotenente Innocenzi, interpretato da un grande Alberto Sordi che qui fornisce una delle sue migliori prove di attore, spaziando efficacemente e con misura dal registro comico a quello drammatico, il quale da un’iniziale passiva adesione al regime, toccato dalle sfortunate vicende dei suoi compagni e deluso una volta giunto a casa dalla totale incomprensione col pur amato padre, finisce con l’aderire consapevolòmente alla resistenza, alla quale era inizialmente indifferente.
L’eccellente sceneggiatura (opera, oltre che del regista, anche di Age e Scarpelli e di Marcello Fondato) reca l’evidente messaggio: è inutile e controproducente estraniarsi cercando rifugio nel proprio ambito familiare ma, per conservare la propria dignità umana si deve compiere la scelta, per quanto ardua, di ribellarsi alle avversità e di partecipare attivamente agli eventi: infatti, l’intento di tornare “tutti a casa” si rivela o impossibile o, per chi vi riesce, infausto o deludente.
Comencini conferma qui la sua capacità di rendere i suoi personaggi, incarnazioni dell’italiano medio con i suoi pregi e difetti, convencenti e con una propria fisionomia umana che li distingue da banali macchiette e suscita empatia nello spettatore. La sua regia è fluida ed attenta, passando dai campi lunghi che mostrano gli effetti della guerra ai primi piani che fanno risaltare l’espressività dei personaggi, coadiuvato in questo dall’eccellente prova degli attori: oltre a Sordi, Serge Reggiani (l’ingenuo e patetico geniere Ceccarelli) e Martin Bansam (il navigato segrente Fornaciari) e, con brevi ma incisive apparizioni, Didi Perego, Nino Castelnuovo, Carla Gravina e il grande Eduardo de Filippo.
In conclusione, Tutti a casa è un grande film del quale non ultimo dei suoi pregi è quello di aver ricreato l’atmosfera di quel periodo in cui era evaporato lo Stato (i cui vertici si erano dati alla fuga) e ognuno doveva pensare per sé: la resa veritiera della situazione mi fu confermata dai miei genitori e parenti che quegli anni li avevano vissuti. È un bell’esempio di cinema “popolare”, di gradevole visione, ma con notevole spessore di contenuti.
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