Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
Durante un processo di cambiamento, soprattutto se innescato ex abrupto e all’interno di una condizione estremamente problematica, le tanto sospirate opportunità sono accompagnate in parallelo da incognite pronte a sferrare un colpo in qualunque momento, anche a tradimento. D’altronde, se da una parte c’è chi non vede l’ora di cogliere la palla al balzo, assecondando le sopraggiunte indicazioni o gli spazi vuoti determinati dalle stesse, dall’altra c’è chi fa strenuo ostruzionismo, rifiutando di guardare avanti, di chiudere con il passato, con tutto quanto credeva essere destinato a durare sine die.
Tutti a casa, un titolo che risuona come un proclama, un invito – purtroppo, beffardamente - rassicurante, delinea e descrive un quadro d’epoca frastagliato e travagliato, una breve e sfuggente parentesi di speranza che lo stesso film non può che spazzare via, sospinto dal famoso senno del poi, di quanto sappiamo poi essere (ancora) successo, accompagnando i suoi alfieri dalla padella alla brace.
Veneto, 8 settembre 1943. In seguito all’annuncio dell’armistizio, i soldati italiani sono allo sbando, travolti dall’entusiasmo così come impreparati ad affrontare quanto sta per accadere.
Il sottotenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi – Una vita difficile, Un borghese piccolo piccolo), in fuga con i suoi uomini dopo una feroce rappresaglia tedesca, si ritrova abbandonato dagli stessi alla prima occasione. Con un gruppetto variabile di compagni di viaggio, cercherà di rientrare a casa, in quel di Roma.
Lungo il loro tragitto, dovranno fare i conti con una realtà avversa, che non ha alcuna intenzione di soddisfare i loro sogni di pace e tranquillità.
Tutti a casa è la vetta artistica di Luigi Comencini (su queste pagine ha il voto medio più alto della sua intera cinematografia, superiore anche ai più popolari Le avventure di Pinocchio e a Lo scopone scientifico), conseguita con pieno merito in virtù di una equilibrata commistione di umori e toni, sovrapposti con continuità, all’insegna di una qualità indiscutibile.
Sceneggiato a otto mani, scritto da Age & Scarpelli (I soliti ignoti, C’eravamo tanto amati), Marcello Fondato (A mezzanotte va la ronda del piacere, …altrimenti ci arrabbiamo!) e dallo stesso regista Luigi Comencini, si catapulta nel bel mezzo di una delle fasi più buie e drammatiche della nostra Storia, quando si aprì un pertugio di speranza, poi precocemente soffocato spegnendo gli speranzosi moti entusiastici di chi non desiderava altro che tornare a casa per abbracciare i propri cari e ricominciare a vivere.
Dunque, attraversa da nord a sud, dal Veneto fino a Napoli, un paesaggio martoriato, ancora lontano dalla tanto auspicata ripartenza e destinato a subire ancora per tanto tempo i colpi di coda di un feroce conflitto, costellando il tragitto con movimenti/volti/gesti/atti emblematici di quanto stava avvenendo, nonché dell’istinto di sopravvivenza, delle abilità e dei difetti umani, che affiorano in tutta la loro franchezza specialmente quando è indispensabile badare al sodo.
Di conseguenza, offre un’istantanea suscettibile, efficace e puntuale che, in qualche modo, guarda anche oltre il frangente selezionato (a quel connubio di vizi e virtù rappresentati dalla commedia italiana), perseguendo con estrema coerenza, e senza prendersi alcuna sosta superflua, un filo conduttore contraddistinto da un crudo realismo, imbeccate - formulate ed esposte - a memoria, stilettate precise e anche sortite esilaranti.
Una mistura pregiata e calibrata, che Alberto Sordi impreziosisce attingendo a tutto il suo innato carisma (La grande guerra risale solamente a un anno prima), dominando la scena in lungo e in largo. Un autentico uragano, incontenibile in tutte le varie sfumature richieste dal suo personaggio, obbligato più volte a cambiare il suo sguardo su quanto gli accade attorno.
In sintesi, Tutti a casa è un’opera da non farsi mancare, dotata di un impressionante tasso di coinvolgimento, nonché di significative riflessioni. Radiografa il dramma della guerra, che non guarda in faccia a nessuno, mantenendosi in movimento continuo tra l’incudine e il martello, con un combinato disposto che individua, configura e mantiene un miracoloso bilanciamento delle componenti che esprime, ulteriormente valorizzato da un protagonista in stato di grazia.
Tra peripezie e tragedie, contrappunti e capovolgimenti in corso d’opera, istanze collettive e priorità individuali, scaltrezza e risorse umane, auspici e realtà, moralità e contraddizioni, picchi e variabili.
Aspro e beffardo, autorevole e disincantato.
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