Regia di Peter Bogdanovich vedi scheda film
"Paper moon" appartiene alla prima fase dell'opera di Peter Bogdanovich, essendo solo il suo quarto film, girato a due anni di distanza da "L'ultimo spettacolo" che rimane il titolo più importante di tutta la sua filmografia. Si tratta di un'altra pellicola in bianco e nero e ambientata negli anni Trenta della Grande Depressione, con un occhio al cinema di Frank Capra e in particolare ad "Accadde una notte", oppure a certi film di Preston Sturges, con una raffinatissima fotografia in bianco e nero di Laszlo Kovacs che restituisce con intelligenza l'atmosfera di un cinema che non esiste più negli anni della New Hollywood, ma che il regista-critico continua ad evocare con scrupolo filologico e grande attenzione al dettaglio visivo. La trama vede un piccolo truffatore, che sbarca il lunario vendendo a prezzi esagerati delle Bibbie alle vedove di alcuni defunti e compiendo altri raggiri ai danni di qualche malcapitato, unirsi a una bambina di nove anni che potrebbe essere sua figlia e che da ora in poi gli darà una mano nel portare avanti gli imbrogli; la sceneggiatura sembra essere stata scritta appositamente per la coppia di padre e figlia Ryan e Tatum O'Neal, la cui "chimica" attoriale è perfetta e garantisce al film delle caratterizzazioni puntuali e ricche di sfumature per i due protagonisti. Bogdanovich è stato particolarmente attento nella direzione della bambina, probabilmente assistito dall'attore nonché padre della baby star, da cui riesce a cavare le giuste emozioni di risentimento, rabbia, testardaggine e spirito avventuroso che l'accompagnano lungo tutto l'arco del racconto. Lo script di Alvin Sargent ha un'andatura episodica che era probabilmente inevitabile dato il genere nel quale il film si inscrive, che è quello del road-movie; in generale la progressione drammatica dell'intreccio è molto curata, con un ritmo sapientemente dosato che non manca di accelerazioni e rallentamenti, come era già nel Cinema degli anni 30 che è il modello di riferimento; tuttavia a fine visione si avverte un'impressione di una certa discontinuità narrativa di cui risentono alcuni dei momenti salienti come lo scherzaccio organizzato da Addie e dalla serva di colore ai danni di miss Trixie Delight, che risulta piuttosto arbitrario, solo parzialmente motivato, e anche la parte finale che non spoilero lascia qualche perplessità in merito alla risoluzione del plot scelta da Sargent, che a quanto pare ha utilizzato solo la prima parte del romanzo "Addie Pray" a cui si è ispirato. Dunque un risultato di pregio nella carriera di un regista che all'epoca si era distinto fra i più validi della nuova ondata americana, e che in seguito tenderà spesso a deludere senza più raggiungere gli esiti dei suoi brillanti esordi; fortunatamente fu un successo anche al botteghino e vinse un Oscar come attrice non protagonista per la O'Neal (che in realtà ha un ruolo da protagonista a tutti gli effetti, ma per l'Academy essendo una bambina non può accedere alla categoria principale).
voto 8/10
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