Regia di Joshua Logan vedi scheda film
Un vagabondo senza arte ne parte - ma uomo nel vero senso - getta lo scompiglio in'ingessata comunità di provincia, sbloccando il destino di molti.
Mi ha convinto questo melodramma sudista che, come altri esemplari del genere, presenta vari personaggi, nei quali si nascondono tensioni e insoddisfazioni represse, alle quali basta una scintilla per deflagrare. Questa legge non scritta di dover mostrare a tutti rispettabilità e felicità, nascondendo a tutti i costi peccati e problemi, doveva essere una realtà degli stati del sud, dal momento che è presa di mira da molti film, specie degli anni '50 e '60.
La pellicola è prima di tutto un riuscito studio di caratteri e psicologie; ognuno dei personaggi è definito in modo convincente, compresi quelli secondari. I dialoghi rivelano i dolori passati e presenti, come pure lasciano trapelare ciò che vorrebbero tener nascosto. Ma, come spesso accade, ciò che è stato a forza trattenuto e dissimulato, esplode poi con più visibilità e forza dirompente. L'alcol - che molti bevono di nascosto - è il grimaldello che sblocca la lingua e le inibizioni, dando inizio ai fuochi d'artificio. Ciò che accomuna molti di loro sono le occasioni perdute (spesso per stupidi scrupoli), gli errori fatali, le ambizioni o i miraggi; l'infelicità caratterizza quasi tutti.
Logan dirige con pacatezza e sicurezza, cominciando con calma e gestendo bene i molti personaggi, e a tratti persino la folla. Tra gli attori ricordo un bravo William Holden (tra i miei attori preferiti), un'espressiva e bella Kim Novak (ancora lontana dal personaggio disinibito e provocante che avrebbe assunto in seguito), e un bravo caratterista conosciuto più di vista che di nome, cioè Arthur O'Connel (il vecchio scapolo).
In ogni caso è un tipo di cinema appartenente ad un'altra epoca, quando ancora si credeva nel valore della sceneggiatura, dei dialoghi e dei personaggi; e non solo nell'azione e nella trama, come spesso si fa oggi.
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