Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Per la regia di Vittorio De Sica, sei episodi dall’omonimo libro di Giuseppe Marotta vengono inscenati con lo scopo di esaltare la magia viscerale insita nel capoluogo partenopeo e mettere in mostra gli straordinari attori a cui Napoli ha dato i natali. In “Il guappo” Totò deve liberarsi di una scomoda e forzata convivenza; in “Pizze a credito” Sofia Loren e Giacomo Furia vanno alla ricerca di un anello perduto; ne “Il funeralino” una madre segue il carro funebre del disgraziato figlio; ne “I giocatori” Vittorio De Sica costringe un ragazzino ad un tavolo da gioco; in “Teresa” la prostituta Silvana Mangano accondiscende al matrimonio per liberarsi dalla miseria; in “Il professore” Eduardo De Filippo è un consigliere del popolino.
Riferendosi a “L’oro di Napoli” si pensa quasi automaticamente a Totò che fa il “pazzeriello”, a Sofia dall’idioma pseudo-sofisticato e a Eduardo che fa il maestro di pernacchio. Ma a ben guardare dietro ogni episodio, e non solo nei due più melanconici, dietro l’apparenza di grande affresco sulla solarità partenopea si vela ovunque un alone di tristezza che è figlio di quell’”avvertimento del contrario” che è proprio del pensiero pirandelliano: e così De Sica non è più un ridicolo giocatore incallito, ma un malato patologico da compatire, Furia non è soltanto un remissivo cornuto, bensì un disperato alla ricerca dell’unico simbolo d’amore rimastogli, Totò non è uomo dalle sfortunate frequentazioni, ma un pater familias umiliato nel profondo da un ingombro non più sopportabile. Ed è questa doppia chiave d’interpretazione di tutte le vicende che rendono unico questo piccolo capolavoro di De Sica.
Da segnalare le eccellenti prestazioni di Eduardo De Filippo, Totò, Vittorio De Sica e Sofia Loren, interpreti di personaggi memorabili ed a tratti esilaranti che hanno reso il lavoro dietro la macchina da presa molto più agevole. L’episodio più famoso è forse quello di Sofia Loren, ma probabilmente le risate maggiori stanno nell’elogio del pernacchio inscenato da un Eduardo in stato di grazia. Peccato per l’assenza, forzata dati i rapporti poco consoni col fratello, di Titina e Peppino De Filippo, coi quali si sarebbe potuto parlare seriamente di un manifesto generazionale dell’arte recitativa napoletana.
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