Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Sei episodi liberamente tratti dal libro di Giuseppe Marotta: un povero diavolo si ribella al camorrista che gli si è insediato in casa dopo essere rimasto vedovo; una pizzaiola fedifraga riesce ingegnosamente a non farsi scoprire dal marito; una madre accompagna il funerale del suo bambino morto; un nobile, fatto interdire dai parenti dopo essersi rovinato con il gioco d’azzardo, è costretto a sfidare a scopa il figlioletto del portiere, che lo batte regolarmente; una prostituta accetta un matrimonio in bianco pur di liberarsi dalla miseria; un gruppo di popolani impartisce una lezione a un nobile spocchioso. Totò all’inizio, Eduardo alla fine, De Sica nel mezzo: il film si trovava in una botte di ferro già prima di cominciare. Il regista (che offre un’interpretazione impressionantemente autobiografica, essendo lui stesso un maniaco del gioco) riesce ancora a trovare accenti di autenticità nella descrizione della vitalità popolare, schivando ogni tentazione folkloristica (a differenza di quanto accadrà in Ieri oggi domani). Si ride, ma il riso è con ogni evidenza un modo per esorcizzare la tragicità della vita, per dimenticare anche solo un attimo il senso di morte che incombe dovunque (non solo nel 3° e nel 5° episodio, gli unici apertamente drammatici). Il “pernacchio” (da non confondersi con le volgari pernacchie) che sommerge il duca Alfonso Maria di S. Agata dei Fornari ha qualcosa di potentemente liberatorio: una soluzione a cui dovremmo ricorrere più spesso, specialmente di questi tempi.
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