Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Lo spirito napoletano è, secondo Giuseppe Marotta, l'innata capacità di rimediare al dramma con una pezza di romantica futilità. La bellezza della vita, nel microcosmo partenopeo, è un pirandelliano sentimento del contrario, che si sovrappone al dolore, alla sfortuna e alla miseria, dando alla cruda realtà i contorni di una fantasiosa verità da sogno. Se la disgrazia è palese e irrimediabile, si può sempre, però, rieducare lo sguardo, costringendolo a posarsi di traverso sulle situazioni, fino a cogliere quel riverbero di superficie che devia la mente verso nuovi, impensati orizzonti. è un abbaglio autoindotto quello che illude il conte Prospero B. nell'episodio "I giocatori" e distrae la madre del "Funeralino"; è un abbaglio anche quello che protegge i segreti amori di Sofia in "Pizze a credito" e di don Ubaldo in "Teresa"; è un lampo di luce soprannaturale quello che illumina don Ersilio Miccio ne "Il professore"; ed è, infine, un luccichio luciferino e ingannatore quello che ispira don Saverio Petrillo ne "Il guappo". L'"oro di Napoli" non è, dunque, la filosofia della rassegnazione, la beata passività del prendere la vita come viene. Il "tirare a campare" è, invece, un atteggiamento accorto, fiero e positivo, uno stare all'erta per inventare o scoprire, in ogni momento problematico, un'originale via d'uscita che lo risolva pacificamente, senza portare lo scompiglio, né ledere la dignità di alcuno.
Vittorio De Sica ritrae i "bassi" napoletani come una metafora della quotidianità del popolo partenopeo: un percorso labirintico solcato dalla sofferenza, ma continuamente lambito da benefiche ventate d'allegria. La strada maestra è accidentata, però dalle viuzze laterali prorompe sempre, senz'ombra di pudore, l'inarrestabile ondata della vita.
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