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Okja

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su Okja

di supadany
7 stelle

Abituare troppo bene può essere un problema. Lo è per Bong Joon-ho con Okja, principalmente reo di venire dopo titoli di grande spessore e assai diversi tra loro quali sono Memories of murder, The host, Mother e, secondariamente, Snowpiercer. Stabilito che si vola più basso, va obbligatoriamente aggiunto che non si naviga mai a vista. Ancora una volta, l’autore coreano, spazia, frulla, sbanda ed esonda, costruendo un’opera non catalogabile attraverso le etichette più in voga, sincera ma con meno mordente e tante intonazioni chiamate a condividere la scena quando poi l’attenzione casca sulla più genuina di tutte.

Infatti, Okja è prima di ogni altra cosa una favola che non cerca facili sotterfugi, adagiata su uno spartito a due, che vede duettare su distanze diverse una straordinaria creatura nata in laboratorio e una determinata ragazzina.

Mija (Ahn Seo-hyun) è una ragazzina di provincia che è cresciuta insieme a Okja, una creatura affidata a sua padre dalla multinazionale Mirando corporation guidata da Lucy (Tilda Swinton), al fine di trovare un nuovo animale da macellare e servire sul piatto di milioni di consumatori.

Quando Johnny Wilchox (Jake Gyllenhall) si riprende Okja per dare il via al processo produttivo, Mija si lancia con il cuore in mano in un’avventura per recuperare ciò che di più caro ha al mondo.

Sulla sua strada s’imbatte in Jay (Paul Dano) e il suo gruppo di attivisti, disposti a qualunque azione pur di impedire una mattanza che mezzo mondo sembra attendere più di ogni altra cosa.

 

scena

Okja (2017): scena

 

Da un film che contempla svariate osservazioni, con un ricettario che spazia dalle multinazionali che anelano unicamente il massimo profitto possibile, agli attivisti che non demordono mai, passando per un dottore invasato e detestabile, emergono con prepotenza innata una ragazzina e la sua compagna di formazione.

Sembra banalizzante come cuore pulsante dell’opera di un autore complesso qual è Bong Joon-ho, ma pur dovendo fare i conti con una collocazione minore all’interno della sua filmografia, fa anche piacere riscontrare uno sguardo privilegiato verso quei legami capaci di andare oltre qualsiasi barriera e visione del mondo.

Il loro percorso, prima condiviso in una quindicina di minuti in mezzo alla foresta, con gesti di condivisione di rara purezza, e poi separato dalle asperità di un futuro scritto fin dall’inizio, possiede scrigni da custodire gelosamente, momenti scombinati e anche detonazioni improvvise, soprattutto quando l’azione si sposta nelle metropoli, con Okja fuori scala rispetto al formato sociale tecnologicamente progredito, maggiormente propenso a scattare selfie e salire sul carro della festa invece di pensare al bene comune.    

In Okja è arduo stabilire una reale compattezza, per lo più per la presenza di stili differenti, espressivamente liberi da stilemi collaudati, che alle consuetudini di rito preferiscono le bizzarrie surreali, disseminate sottoforma di esagerazioni che colpiscono tutti i partecipanti al circo mediatico. Così, un attivista è a digiuno forzato per non incrinare l’ecosistema, un dottore sembra uscito da un incubo dell’inconscio (Jake Gyllenhall può azzerare ogni freno inibitorio) e una doppia Tilda Swinton, come se la prima versione non fosse già abbastanza carogna (e si, la seconda lo è il doppio, un vero führer), scorrazza rivolta unicamente al fattore business, fino ad arrivare al macello formato lager e all’unica soluzione possibile di una lunga rincorsa, con tanto di cuore spezzato per l’emozione che attiene al miracolo della vita.

Alla fine, con tutti i messaggi che se ne possono ricavare - su cosa mangiamo, chi stiamo diventando, l’importanza della natura nella formazione - risplende soprattutto la meravigliosa Okja, un incrocio tra un lamantino, un ippopotamo e un cane, e il suo rapporto con Mija, descritto con una cura e un affetto che vanno oltre la parola, ricordando l’importanza dei gesti e quindi del fare.

Il loro punto di vista è limpido, così come sono chiare le posizioni della multinazionale e degli attivisti, mentre gli altri se ne stanno a guardare inebetiti e mangiano, l’importante è che il cibo costi poco (cit.).

Okja sarà pure un’opera minore, inclassificabile, spiazzante e dispersiva, ma riesce comunque a lasciare traccia del suo passaggio, sotto le spoglie di una favola avventurosa con un messaggio meno rassicurante di quanto si possa immaginare (the show must go on).   

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