Regia di Maha Haj vedi scheda film
Tff 34 – Festa Mobile.
Ci sono delle opere che mettono di buon umore: piazzano tutti i pezzi fondamentali laddove devono stare, riescono a parlare anche attraverso i silenzi e quando le parole, così come i gesti, nascono spontanei, è difficile resistergli, anche se quanto mostrato, non è sempre rosa e fiori.
Maha Haj riesce a rendere tale Personal affairs, declinando una trama di matrice familiare all’interno della realtà palestinese, con tutte le ulteriori problematiche facili da intuire, risultando formalmente impeccabile.
Nazareth. Mentre una coppia di anziani manifesta tutta la stanchezza frutto degli anni che passano, ognuno dei loro figli è al cospetto di affari personali da gestire, se non proprio risolvere.
C’è chi vive all’estero, chi è in dolce attesa, chi ancora non sta attraversando un buon momento ma ha a disposizione una chance tanto inattesa quanto casuale, senza dimenticare una nonna drogata di televisione ma che si accende quando vede il cancello di casa aperto, intravedendo la possibilità di cambiare aria.
Tutti loro faranno i conti con qualche evento imprevisto.
Con una leggerezza confortevole, Personal affairs compone una cornice semplice ma definita a sufficienza, alternando (parecchie) situazioni ilari a considerazioni esistenziali, senza dimenticare di essere un film palestinese, parlando comunque con un linguaggio internazionale.
Tutti i personaggi principali sono caratterizzati con energia; il primo piano spetta a una coppia di genitori avanti negli anni, assorti nelle faccende quotidiane, soprattutto lei è completamente assuefatta dalla televisione, in sostanza ne è ipnotizzata, ma non ha scordato di essere apprensiva quando sono di mezzo i suoi figli. A loro volta, questi ultimi hanno un canovaccio di esperienze, sono diversi tra loro e contribuiscono attivamente a formare un quadro complessivo che si accende sui (tanti) litigi, ma altresì apre alla poesia dell’immagine, facendo apprezzare le piccole cose, come l’ebbrezza del mare o una fotografia d’insieme ai bordi di un lago del nord Europa, quasi fuori dal tempo.
In questo insieme ben riprodotto, vive il gioco delle coppie, c’è chi parla ma anche chi non ascolta, tanto che uomo e donna arrivano a sembrare due razze diverse; dal canto suo, Mana Haj marchia le tappe fondamentali del percorso umano, ricordando l’importanza di avere interessi che tengano accesa la fiamma della voglia di vivere e condividere, senza che le abitudini annientino il desiderio di scoperta. E il finale, giustamente, assume contorni liberatori, il modo migliore per chiudere un racconto spiritoso, articolato e senza ansia da prestazione che sceglie di evolversi con calma, ben conscio su cosa mostrare (e come farlo).
La risultante è particolarmente gradevole.
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