Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
E' un film rigoroso e asciutto, che procede senza strappi, inesorabile, verso un finale che mi ha lasciato un po' sospeso e confuso.
I due personaggi principali sono piuttosto complessi. Don Lope è da una parte ultratradizionalista: onore, duelli, abbigliamento distinto, frequentazioni di un certo tipo, modi raffinati. Dall'altra è un libertino senza fede e senza morale, specie quanto alle relazioni con l'altro sesso: nei confronti di Tristana si proclama protettore, genitore, amante, e depreca il matrimonio (lo accetterà solo per far piacere a lei). E' fortemente attratto dalla ragazza, e la vuole possedere andando per le spicce. A margine, il suo disprezzo per il lavoro è tipicamente nobiliare.
Tristana, dal canto suo, inizialmente può sembrare una giovane tutta casa e chiesa, senza grilli e senza cattiveria. Già però il fatto che si conceda a don Lope con qualunquismo e quasi automatismo ci lascia confusi e complica tutto il quadro. Se poi vediamo quello che diventa gradualmente, o ciò che era già prima ma teneva nascosto, capiamo di avere avanti una donna molto diversa da quello che sembrava. Si rivela presto capricciosa e sprezzante, e infatti respinge con freddezza l'uno e l'altro uomo che se la contendono. Il suo personaggio ha molti punti di contatto con la Conchita di "Quell'oscuro oggetto del desiderio". Certe letture del personaggio di Tristana le ritengo del tutto fuori luogo: come quella che vuole la giovane donna vittima della libidine di un vecchio imbolsito, che poi attua la giusta vendetta che le spetta di diritto. Nel suo stesso concedersi a don Lope c'è una buona dose di condiscendenza, comunque molto ambigua (secondo me si comporta quasi come una prostituta). E la vendetta che ne segue appare quindi del tutto ingiustificata. Tristana diviene a poco a poco una donna spietata, persino omicida, che ha illuso due uomini senza amare nessuno dei due. Tuttavia, tuttavia... non dimentica di fare una cospicua offerta per gli orfanelli, e passa infine per una donna di gran cuore.
Una volta in più, comunque, Bunuel ci racconta una storia dove è la donna a tenere a bacchetta l'uomo, o meglio gli uomini, i quali sono resi schiavi a lei da passioni che non riescono a controllare. La Deneuve è bella ma glaciale, tanto che per questo risulta quasi scostante; Ferdnando Rey è un efficace uomo in età che si finge forte e sicuro, ma capitola davanti alla bellezza e ai capricci.
L'ambientazione nella profonda Spagna che fu, con un'immagine abbastanza uniforme di tradizionalismo e immobilismo, si contrappone a due personaggi non inquadrabili secondo me in alcuna categoria. Simbolismi e surrealismi sono assenti; c'è solo un sogno, che comunque lascia il segno. La sequenza del pianoforte è rifatta quasi uguale ne "Il fantasma della libertà", e la protesi di Tristana ricorda la scena del manichino di "Estasi di un delitto".
Buono, ma non il Bunuel che amo di più.
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