Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Spesso libertà e identità sono termini antitetici, e ciò è più che mai vero nel contesto patriarcale ritratto da Buñuel nei film del suo ciclo messicano: moglie, sorella, amante, madre o figlia, fanciulla innocente o donna navigata sono le tipologie in cui un certo tipo di società ama suddividere l’universo femminile. Eppure le sue esponenti più forti cercano di sfuggire alla classificazione, facendo in modo che la loro vita si collochi trasversalmente alle categorie suddette, per sperimentare l’amore in tutte le sue forme, senza l’opprimente obbligo di scegliere, né di rimanere fedeli ad un unico ruolo. Occasioni, passioni, affetti, dolori sono i fenomeni che tracciano, per Tristana come per altre protagoniste del cinema di quest’autore, un tortuoso percorso attraverso le varie possibilità di esistere, per se stesse o rispetto agli uomini. L’autodeterminazione si concilia con la sottomissione nel momento in cui quest’ultima è un’opzione volontaria e non definitiva, che resta aperta alla fuga e al disimpegno, e non è talmente radicata nell’animo da escludere vie alternative. La coscienza di Tristana, come quella di Rosario in Una mujer sin amor,di Susanna in Adolescenza torbida, di Séverine in Belle de Jour, di Concha in Quell’oscuro oggetto del desiderio, è un’entità viva e perciò variabile, in cui la capacità di giudizio matura e si rinnova, facendo seguire alla fuga ribelle un mite ritorno, al casto rifiuto un lascivo abbandono, all’ardente tentazione un saggio ripiegamento. Il tentennamento, lungi dall’essere un sintomo di insicurezza, dimostra, invece, la temerarietà di un’esplorazione esistenziale immune da pregiudizi e da preoccupazioni per la propria immagine pubblica. A ciò si accompagna, necessariamente, un accentuato senso dell’io, senza il quale intraprendere questo vagabondaggio morale e psicologico sarebbe come perdersi nei meandri del relativismo. Un filo solidissimo unisce le tante versioni di Tristana, le sue varie figure metamorfiche che la vedono prima figlia, poi orfana, poi mantenuta di un anziano benestante, poi amante di un giovane artista squattrinato, ed infine moglie e vedova del suo primo uomo; lei rimane sempre lei, anche dopo aver attraversato una grave malattia, aver sentito la morte vicina, avere perso un gamba. Il suo tutore e marito, col passare degli anni, si debilita e sfiorisce, mentre lei resta, sullo sfondo, a scandire il ritmo regolare di un tempo che avanza inesorabile, ed il cui battito pompa, nelle sue vene, anziché il liquame del decadimento, la salutare linfa della crescita interiore.
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