Espandi menu
cerca
Tristana

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

Recensioni

L'autore

laulilla

laulilla

Iscritto dal 21 febbraio 2015 Vai al suo profilo
  • Seguaci 100
  • Post 15
  • Recensioni 723
  • Playlist 4
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tristana

di laulilla
9 stelle

A Toledo – anziché a Madrid, come nel romanzo omonimo di Benito Pérez Galdós (1892), cui molto liberamente Buñuel si ispira – si svolge la vicenda narrata dal film.

 

Girato nel 1970, nonostante ne avesse da tempo in animo il progetto, il regista ricostruisce una Toledo degli anni venti, nella quale convivono gli splendori del passato (ora colto in tutta la sua decadenza), e la miseria di un presente in cui sembrano esistere solo ricordi e modelli di comportamento a loro volta decrepiti e consunti.

La fortezza che protegge la bella città sul Tago, tagliandola fuori dal resto del mondo e da ogni modernità, evidenzia fin dalle prime scene la realtà remota e immobile della Spagna, accentuata dagli abiti a lutto di Tristana  (Catherine Deneuve) – a cui è mancata la madre – e di Saturna (Lola Gaos), nonché dalle tristi divise dei giovani sordomuti che le donne stanno per incontrare.


Tristana, dopo la morte della madre, aveva traslocato: era stata accolta e affidata a Saturna nella casa del suo tutore Don Lope (Fernando Rey), maturo rentier orgoglioso di non lavorare, ribelle all’autorità civile e religiosa e impenitente libertino, refrattario a ogni legame matrimoniale.

Anche Don Lope, come i gentiluomini che frequenta nei vecchi e e fumosi locali - un tempo prestigiosi – della città, tenta goffamente di nascondere la propria incipiente vecchiaia: si tinge barba e baffi, ma si aggira per la casa calzando scalcagnate e luride ciabatte e indossa biancheria alquanto sdrucita sotto le belle camicie eleganti.


In quell’abitazione, Tristana ne sarebbe diventata presto l’ amante, trasformando la stima e l’affetto filiale che aveva provato per lui nell’odio e disprezzo profondo di cui è spia un incubo ricorrente che tormenta il suo riposo: il battaglio della campana che assume la forma e le sembianze del capo mozzato del suo tutore.

Don Lope è geloso e possessivo, contraddicendo la sua visione dell’amore come scelta libera, ma dovrà cedere alla giovinezza irruente e sfrontata di Horacio (Franco Nero), il pittore che, incontrata casualmente Tristana, la porterà con sé a Parigi.

La prima parte del film ci presenta, dunque, i principali personaggi, ma anche i temi che verranno in seguito approfonditi: oltre al tema dell’immobile decrepitezza di Toledo, e del sistema di valori dei suoi più rispettati abitanti, sono presto introdotti i due elementi che, come in molti film di Buñuel, danno vita inconfondibile al racconto: il caso, e la morte, che vanificano ogni libertà dell’uomo.

 

 

La libertà di scelta e l’ineluttabile destino di tutti

 

Tristana – nonostante più volte, avesse espresso la convinzione di essere libera di scegliere persino fra le opportunità minime della vita – è vittima delle scelte irrazionali e non prevedibili del caso: non solo è costretta dalla sua povertà a sopportare un amante abietto e vecchio, ma, quando sembra avviata a un destino radioso con Horacio, è costretta a tornare dal'odiato tutore per guarire dalla malattia crudele che inaspettatamente l’avrebbe obbligata all’amputazione della gamba destra, privandola del futuro sognato: l’amore di Horacio, infatti, non avrebbe retto allo scempio del corpo di lei.

Le sue scelte, ormai prive di gioia, si sarebbero limitate allora a mostrare freddamente le proprie nudità, ancora desiderabili, al figlio sordomuto di Saturna, che del voyeurismo era costretto ad accontentarsi.


L’altro tema fondamentale del film, quello della morte ineluttabile e ineludibile è ben simboleggiato, all’inizio della sua storia con Don Lope, dall’impressionante statua del cardinale Tavera, immagine crudele e terribile che affascina e respinge Tristana, mentre il sogno di morte le si ripresenta come preludio della fine di Don Lope, diventato suo marito in chiesa (!) e costretto, nell’ultimo nevoso e gelido inverno, ad accontentarsi della compagnia di tre preti che vanno da lui a bere la prelibata cioccolata di Saturna, prima della fine solitaria, senza il soccorso di lei, supremamente indifferente alla sorte dell’uomo detestato.

 

Anche Tristana dunque, infine, appare coinvolta dalla condanna buñueliana del mondo decrepito da cui, consapevolmente e opportunisticamente si è lasciata inghiottire.

A differenza di Don Lope che a quel mondo apparteneva e di cui condivideva la visione classista che gli assicurava libertà, rispetto e privilegi, Tristana, contro quel mondo, aveva tentato una fuga, immaginando per la sua vita un diverso percorso, ma la malattia inattesa l’aveva riportata là dove forse avrebbe potuto essere curata.

Il suo disprezzo – ora – non poteva che essere per Horacio, che l’aveva riconsegnata a Don Lope, mostrando la miseria del suo amore per lei: meglio allora utilizzare i vantaggi che sul piano sociale il matrimonio coll’anziano tutore avrebbe potuto garantirle.

Il mondo dei notabili di Toledo, che le faceva orrore, l’avrebbe finalmente rispettata, accettandone persino  le bizzarrie, le intemperanze e le prepotenze, ma non avrebbe mai accettato la sua aperta ribellione.

 

 

 

 

 

 

Non riesco a non dare una lettura politica di questo film nel quale, secondo me, l’anti-franchista Buñuel, parlando di Tristana, racconta l’adeguarsi opportunistico del ceto medio, nonché di molti, anche fra coloro che avevano condiviso con lui gli ideali anarchici e libertari degli anni giovanili, al potere del dittatore.

 

Quello che, però, rende straordinario il film è che l’intento polemico (che mi pare innegabile) non si traduce nella rappresentazione di personaggi stereotipati e legati rigidamente al ruolo di buoni o di cattivi: sono infatti, sia Don Lope, sia Tristana, personaggi dotati di una piena e dolente umanità, della quale partecipiamo come spettatori.

 

Film di sconvolgente bellezza, di estrema coerenza narrativa, che presenta, rispetto al romanzo, importanti elementi di novità

Il romanzo ispiratore di Galdos è altra cosa, se non altro per essere stato scritto quando ancora la dittatura franchista non si poteva neppure prevedere.

 

 

Alcune brevi personali osservazioni a proposito del romanzo di Galdos

 

Buñuel ha spiegato, nelle sue memorie e anche in alcune interviste, che nel romanzo di Galdos  due elementi soprattutto l’avevano colpito: il personaggio di Don Lope e la gamba tagliata di Tristana, mentre aveva visto Horacio con antipatia, ciò che, secondo me, spiega le ragioni dello scarso rilievo che nel film gli attribuisce.

 

Di grande interesse è la scelta di Toledo quale scenario della vicenda. L’antica e decaduta capitale della Castiglia riassume in sé, meglio di Madrid, le caratteristiche dell’Hispanidad franchista, bersaglio polemico di tutto il film: lo splendido isolamento; l’arroccarsi vano intorno alle antiche glorie e agli antichi valori; la repressione di qualsiasi comportamento “irregolare”dei ceti subalterni, che l’isolamento della città permette di meglio controllare e infine un certo paternalismo nei rapporti sociali.

 

Questo scritto è una rielaborazione della mia  recensione pubblicata il 31 luglio 2011 su Mymovies

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati