Regia di Robert Mulligan vedi scheda film
Da quel capolavoro letterario di Harper Lee - vincitrice del premio Pulitzer lo stesso anno di pubblicazione - è tratta quest’altro (cinematografico) capolavoro, la cui estrema fedeltà all’originale rende possibile far coincidere i giudizi delle 2 opere. Due opere preziose perché - cavalcando l’onda delle rivoluzioni socio-culturali di quegli anni - hanno contribuito (ma avvalendosi di quell’apporoccio garbato, elegante e composto tipico dell’allora miglior cinema) ad accendere i riflettori su una realtà scomoda. Quella della primigenia paura per il diverso (i neri e i malati psichici nel film), per qualcosa che non si conosce e per questo si rifiuta, si odia (per ignoranza, perché non ci si vuole mettere nei panni dell’altro e guardare le cose dal suo punto di vista); qualcosa, dunque, per cui si prova un’avversione cieca e irrazionale (si pensi all’esito del processo: scontato).
Ed è questa la realtà che le 2 opere descrivono, ma avendo cura di attenuarne la crudezza grazie all’espediente di farla raccontare da una scanzonata, ma simpatica, tenera bambina, peraltro non lasciata sola in questo arduo compito. L’assiste Atticus, padre premuroso e amorevole, oltre che punto di riferimento per un’intera comunità di persone e per chiunque intenda ravvisare nella sua integerrima rettitudine un faro di speranza, una luce che non dovrebbe mai spegnersi.
Una storia, dunque, di una bellezza struggente, che commuove in più occasioni. Forse a tratti inverosimile (così per qualcuno), forse una favola (comunque pur sempre calata nel dramma oscuro di quegli anni)…ma, in tal caso, una “bella” favola.
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