Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Ai tempi, Sydney Pollack non era ancora un nome, ma è evidente come in questo film lasci presagire tutto ciò che ci regalerà dopo. Echi alla Kazan palesissimi sulla base di un bel drammone come solo Tennessee Williams sapeva scrivere (modifica fondamentale: in teatro a raccontare la vicenda era la sorellina della protagonista sulle rotaie di una ferrovia; qui tutta la storia viene messa in scena, relegando l’originale teatrale al prologo e all’epilogo), che puzza di sud ed è immerso nella più malinconica umidità, è un film come cristo comanda illuminato da una fotografia calda ed avvolgente (merito di James Wong Howe) che, nonostante il titolo originario si riferisca alla proprietà inagibile al centro del primo tempo, pone la propria lente d’ingrandimento su un personaggio femminile libero e contraddittorio, fragile e totalizzante, vera e propria mina vagante in un contesto maschilista e rude (la proprietà in questione è la pensione che mamma Kate Reid gestisce in modo non del tutto ortodosso). Lo interpreta la stupenda Natalie Wood di cui è difficile non innamorarsi, a cui Robert Redford (di una bellezza oggettivamente scandalosa) regge lo strascico con lucido nervosismo ben temperato. Melodramma che accantona con spudoratezza l’essenzialità abbandonandosi all’eccesso come cifra esistenziale: se alla fine qualche lacrimuccia cade, di fronte al fato cinico e baro, non è reato.
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