Regia di Michael Winner vedi scheda film
Il forte contrasto tra un esotica spiaggia e la metropoli newyorkese è già una dichiarazioni di intenti, il passaggio da un paradiso terrestre patinato, utopico nella sua bellezza da cartolina illustrata e i rumori invadenti, il traffico, gli spazi angusti della città, un incipit che racconta molto del film diretto da Michael Winner.
Paul Kersey (Bronson), ingegnere e uomo pacifico, rientra da una vacanza con la bella moglie Joanna (Hope Lange) e torna ad una vita lavorativa ben avviata, lo stesso fa la sua famiglia, moglie e figlia riprendono le loro attività quotidiane ma durante un giro per la città vengono adocchiate da tre balordi (uno di questi è Jeff Goldblum, qui al suo esordio).
Penetrati nell’abitazione delle due donne i tre non trovano il denaro cercato e quindi si sfogano picchiando selvaggiamente la moglie di Kersey e violentando la giovane figlia, dal paradiso all’inferno, Joanna muore per le botte subite mentre la figlia Carol (Kathleen Tolan) resta talmente shockata da perdere l’uso della parola.
“Come li chiami uomini che quando sono minacciati da un pericolo, non sanno far niente…sanno solo andare a nascondersi”
“Civilizzati?”
Death Wish (tratto dal romanzo omonimo di Brian Garfield) esce nel 1974 e segna l’inizio di una fortunata serie che si concluderà solo venti anni più tardi con la morte di Charles Bronson e ben quattro capitoli al seguito, un film che al tempo della sua uscita scatenò non poche polemiche per la violenza mostrata e per la descrizione di una società allo sbando dove la vendetta privata trovava libero e in parte giustificato sfogo, si disse addirittura che il film fosse un elogio al fascismo.
Devo dire che ho sempre capito poco questo tipo di critiche, quando vidi il film la prima volta mi piacque per il gran ritmo e la violenza, era un western metropolitano dove un cowboy in giacca e cravatta si vendicava della feccia che imperversava in città, non ci feci molte analisi sopra e mi andava bene così.
Quando lo rividi anni dopo compresi meglio le ragioni di una certa critica ma continuavo a vedere il film per quello che era, ossia un western "mascherato" girato negli anni ’70, con protagonista un uomo tornato alle origini della frontiera per riportare giustizia laddove la società e le forze dell’ordine fallivano.
Probabilmente l’aspetto che piu di ogni altro infastidiva certi critici (al cinema fu un gran successo) non era tanto la trasformazione di Kersey in vigilante ma la discutibile scelta della polizia nel finale, una soluzione assai provocatoria che metteva in scena una deriva politica opportunistica più che la violenza del giustiziere.
Michael Winner raggiunge il successo proprio grazie a questo fortunato film ma già in passato aveva dato prova delle sue doti di buon artigiano, prima de Il giustiziere della notte aveva girato due ottimi western come Io sono la legge e Chato, il connubio artistico con Bronson gli portò fortuna (o la portò ad entrambi) e i due continuarono a lavorare insieme.
Rivisto oggi tutte le polemiche che seguirono il film alla sua uscita non possono che far sorridere, il soggetto del film, scritto dallo stesso Garfield, risulta schematico e lineare, la sceneggiatura più che sullo studio dei personaggi si concentra sullo sfondo, ossia sul contesto sociale e sulla percezione della violenza in un modello istituzionalizzato fallato e fallibile, le motivazioni che spingono Kersey non vengono approfondite perché nell'ottica di un action sono già lampanti.
Il punto centrale del film, la sua essenza primaria va comunque ricercata nel viaggio del protagonista a Tucson, nel ritorno dell’uomo di città ai grandi spazi, l’epoca della frontiera viene richiamata da un esibizione western per il pubblico pagante ma la differenza tra i due “mondi” è ormai troppo evidente.
Kersey decide quindi di portare indietro le lancette del tempo e di trasformarsi in vendicatore solitario, questo sarà solo il primo atto di una critica alla società che verrà evidenziata in modo più lampante dalla nascita di emulatori e dall’incredibile richiamo mediatico che le gesta criminali del giustiziere avranno sull’opinione pubblica.
Michael Winner gira un film solido che ancora oggi si vede con piacere, l’opera non ha perso un grammo del suo fascino da action metropolitano, duro, cupo e spietato esattamente come doveva essere, la violenza mostrata (sopratutto nella scena dello stupro) lascia un segno non indifferente, così come attuale è la fotografia di una società americana violenta e contraddittoria, dove l’uso indiscriminato delle armi è una problematica quanto mai viva e di difficile risoluzione.
Bronson è una statua di marmo che non lascia trasparire emozioni, perfetto nel ruolo con le sue due o tre espressioni, da non sottovalutare invece la prova di un grande Vincent Gardenia nei panni dell’ispettore Ochoa, in pratica tutta la seconda parte del film si regge sul loro confronto/scontro.
Da segnalare infine una buonissima colonna sonora a firma Herbie Hancock e la realizzazione di un probabile remake di cui si vocifera da anni, in realtà una versione al femminile è gia stata portata sullo schermo da Neil Jordan e Jodie Foster nel fiacco Il buio nell'anima.
Voto: 7.5
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