Regia di Gillo Pontecorvo vedi scheda film
Nella seconda metà degli anni sessanta il cinema italiano è percorso dalla linfa vitale di giovani registi e di altri già affermati che stanno raggiungendo la vetta creativa del loro lavoro, Bertolucci, Bellocchio, Antonioni, Visconti, Fellini, Pasolini, Monicelli, una formazione da campionato del mondo, si direbbe. Realizzano e giustificano quello che una legge dedicherà al cinema ,quale mezzo di espressione artistica, d’informazione culturale, di comunicazione sociale. Pontecorvo, classe 1919, dopo la storica carrellata di Kapò che tanto fece discutere, prosegue nell’indagare dentro la storia , ma stavolta lo fa a caldo prendendo in esame la ricostruzione della sanguinosa battaglia svoltasi fra le mura di Algeri fra gli abitanti ribelli che rivendicano l’indipendenza e le forze occupanti militari francesi . Pontecorvo impone il suo punto di vista, equidistante e imparziale come i movimenti della sua mdp, riuscendo a ottenere il Leone d’oro a Venezia e un paio di nominations per l’Oscar nonostante qualche velata critica e qualche sforbiciata censoria di marca francese. Con uno stile documentaristico, si dirà anche dal taglio giornalistico, il regista alterna inquadrature ambientali a sequenze dettagliate e minuziose sui mille volti del personaggio principale, il popolo di Algeri. Con movimenti di macchina moderni per l’epoca e un bianco e nero molto contrastato che da profondità alle immagini, il film ripercorre gli scontri fra alcuni aderenti del Fronte di Liberazione Nazionale e i paracadutisti francesi mandati a ristabilire l’ordine, comandati da un ineffabile colonnello Mathieu (interpretato da Jean Martin uno dei pochi attori professionisti del film).
Per la bellezza dell’impianto scenico e della rappresentazione, La battaglia di Algeri sembra l’applicazione manuale della definizione del cinema: combinazione di immagini coinvolgenti, di musiche (di E.Morricone) che raccordano sequenze adiacenti o che sottolineano il pathos sempre a toni alti, in linea con il ritmo del film, di dialoghi attenti ed esplicativi (con qualche piccola caduta retorica), di rumori ambientali che fanno addentrare lo spettatore in un’atmosfera di tensione e di estrema realtà. Un linguaggio armonizza l’altro, una forma si combina con un’altra forma, facendo sempre risultare il film dentro un assetto equilibrato e ben documentato. Le sequenze dei feroci attentati della guerriglia algerina e le torture inflitte ai ribelli da parte dei francesi sono accompagnate da un sonoro drammatico e doloroso, non sono ne abbellite ne brutalizzate, anche se le immagini sono molto forti e scuotono ancora oggi per una certa contemporaneità con barbarie recenti. Il film mantiene la sua centralità sulla realtà storica collettiva, divisa fra masse popolari algerine da una parte e opinione pubblica francese da un’altra, nonostante emergano due personaggi su tutti, il colonnello Mathieu e il ribelle Ali La Pointe, ma seppur discretamente ben rappresentati le loro figure sono più iconografiche anziché elementi determinanti al decorso della vicenda che terminerà qualche anno dopo la fine della battaglia con la rinascita di un nuovo movimento insurrezionale.
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