Regia di Lucio Fulci vedi scheda film
Il titolo francamente orrendo imposto dalla produzione per emulare i titoli a caratterizzazione animale dell'astro nascente e contemporaneo concorrente Dario Argento, non piacque mai a Fulci e non rende sicuramente giustizia a questo film. Thriller di ambientazione mediterranea interpretato da solidissimi attori tutti in parte dal primo dei protagonisti (Tomas Milian, Barbara Bouchet, Irene Papas) fino all'ultimo dei figuranti, in cui la vita di una comunità rurale viene sconvolta da omicidi in serie sotto un sole accecante. Storie di bambini e ossessioni, magia e superstizione in una terra in cui la modernità ha solo sfiorato l'ancestrale cultura rurale passando sopra quella terra con un altissimo viadotto, sinuoso e anonimo. In alto passano i villeggianti diretti al mare, passa il turismo di massa, il nuovo benessere. Sotto, a livello della terra, l'arretratezza culturale e il folklore ambiguo della comunità di villani detta le regole di un gioco al massacro incomprensibile e omertoso, serrato dietro i visi rugosi dei sospettosi paesani. Film impeccabile nella messa in scena, nell'intreccio degli eventi e nella caratterizzazione psicologica dei personaggi, la prima parte è un raffinato affresco della civiltà rurale dei suoi meccanismi e supestizioni, all'ombra della strada verso il benessere le figurine di cera trafitte con gli spilloni sono in grado ancora se non di provocare la morte almeno di fissarla nella mente della gente come una maledizione. I bambini che vengono uccisi uno ad uno, il tema della maternità negata, il ritorno alla madre terra e alla natura, rito pagano che nelle microsocietà rurali convive contradditoriamente al culto ufficiale della chiesa cattolica, la commistione di amore e morte che avvolge tutti i protagonisti caratterizza un film solo superficialemte connotato come thriller mostrando invece una scrittura stratificata, perfettamente equilibrata e magistralmente diretta che contribuisce a rendere credibile la sensazione di claustrofobia e malattia che ammanta tutta la vicenda. Il tema è forte e incredibilmente attuale, un film che assolutamente non sente il peso degli anni e anzi esce ulteriormente rafforzato nei contenuti sorretto dalle dementi cronache contemporanee, avendo il pregio di mostrare un Fulci, da sempre sottostimato, alle prese con una produzione degna delle sue capacità cinematografiche e registiche. Da antologia la lunga scena della morte della Bolkan, qui bravissima e veramente bella che giace abbandonata e sanguinante sul ciglio dell'autostrada nell'indifferenza degli automobilisti di passaggio verso il sole e il mare. Il sole è un altro elemento distorto, così come la maternità viene vissuta come maledizione e colpa, il sole perde ogni connotazione stereopaticamente positiva per trasformarsi in presenza ossessiva, sfiancante, un testimone sempre presente ed assente al tempo stesso. Il film è infatti tutt'altro che un gotico notturno, piuttosto è un secco "j'accuse" delle nefandezze di cui è capace l'uomo e in particolare l'istituione che rappresenta e che lo protegge dai suoi crimini anche dalla palese visibilità alla luce del sole. I bambini (tutti molto bravi) liberi di essere uccisi impunemente, violati senza colpa e persi in quella terra arsa e arida ricordano molto i piccoli protagonisti di Io non ho paura di Salvatores, con molto più coraggio però, stilistico e visivo. Fulci ha solo da insegnare. Da recuperare assolutamente.
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