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Teste di cono

Regia di Steve Barron vedi scheda film

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Stefano L

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La recensione su Teste di cono

di Stefano L
5 stelle

Le “teste di cono” erano dei personaggi piuttosto popolari del SNL originale degli anni ’70, e rappresentavano un’indovinata metafora grottesca sul fenomeno dell’immigrazione, sostituendo le sagome dei clandestini con quelle ovoidali di questi dilettevoli e logorroici esseri simili a marziani. Portare degli sketch di breve durata sul grande schermo comporta però la necessità di affidarsi ad un costrutto narrativo solido e coerente. "Coneheads" di Steve Barron purtroppo non riesce a svilupparsi in modo autonomo dalla pièce televisiva, abbozzandosi con un testo pedestre incapace di decollare. La simpatia che caratterizza gli alieni del pianeta Remulak Dan Aykroyd e Jane Curtin (Beldar e Prymaat Conehead), ammarati dinanzi alla costa del New Jersey (nel tentativo di impossessarsi del globo terrestre) a causa di un guasto all’astronave, è innegabile; tuttavia quella comicità basata sul linguaggio balengo delle smorfie facciali e i movimenti stravaganti, se da un lato può adattarsi al varietà via etere, non pare funzionare persuasivamente in un film dalla lunghezza standard di un’ora e mezza, giacché la ripetitività delle battute soffre di una certa prolissità nell’amalgama dei rocamboleschi risvolti. In definitiva i siparietti slapstick sciorinano delle amenità strampalate (il momento più spassoso è quello del parto in ospedale di Prymaat, con i colleghi di Beldar Conehead che cercano di fotografare l’evento mentre vengono inondati da residui amniotici) sebbene i dialoghi (saltuariamente divertenti) dei "coniugi Conehead", proferiti come se fossero emessi da un sintetizzatore vocale, si paleseranno presto verbosi e incomprensibili. Non mancano nemmeno delle illogicità un po’ fastidiose: gli abitanti del pianeta di provenienza di queste creature hanno inspiegabilmente una parlata anglosassone (si suppone che almeno la coppia di colonizzatori abbia in qualche maniera assimilato preventivamente il lessico, ma gli altri?), e la crescita della figlia Connie (Michelle Burke) non è razionale nella continuità temporale, dato che verso l'epilogo, quando è già adolescente, constatato il non invecchiamento dei secondari, si ha l’impressione che siano passati solo pochi mesi dalla nascita (e non anni interi). Noiosa inoltre la sotto-traccia dell’infatuazione di quest’ultima con il meccanico pigro del padre, segmento che sfoggia dei guizzi di una CGI ambiziosa, anche se ormai datata. Da segnalare un cameo fulmineo di un imberbe Adam Sandler nel ruolo del falsificatore dei documenti per il permesso di soggiorno. Nel complesso, comunque, non si supera la mediocrità.

 

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