Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
Scerbanenco scrive,Di Leo tramuta l'inchiostro in immagini.
Consunte,vere e dure,assuefatte di crimine.
Le immagini del Di Leo nell'amarezza urbana coinvolgono,lasciano lo spazio all'azione sfrontata e impudica d'un cinema "proletario".
La "Milano calibro 9" non è ancora quella da bere,ma è terreno di coltura di potenti "americani" dalla chioma bianca e cotonata.
Una mafia da "grattacielo" spregiudicata,dove il comandante Lionel Stander dirige un orchestra di tirapiedi e sgherri alla Mario Adorf,un grande caratterista,imponente nel creare un sardonico e macchiettistico personaggio.
La citta' Meneghina è per l'ennesima volta il teatro d'una storia bastarda,dove una valigia di 300.000 dollari è il viatico d'una guerra tra uomini e clan,dove l'inganno è "donna",negli occhi cerulei e il corpo conturbante d'una seducente Barbara Bouchet.
Il "calibro 9" è quello di "genere" dove il regista Di Leo è una sorta di primario d'una clinica.
Un po particolare come "ricovero",dotato di mezzi scarni economicamente,il "dott. Di Leo" taglia, cuce e dirige un noir con accenni culturali e politici.
Vi sono persone abbiette come l'"americano" Lionel Stander,ma vi è spazio per "uomini d'onore" come l'ottimo Gastone Moschin,o il comprimario Philippe Leroy,seppur banditi da "piazza",rimangono saldi nelle convezioni etiche e morali.
Traditi pero' da una "mafia" onorevole che non c'è piu',come afferma l'ex boss non vedente Ivo Garrani.
Potente e suggestiva nelle riprese,ardimentosa nella costruzione dell'azione,la regia centra il cuore d'una letteratura "noir" asfittica e "garantista".
Di Leo da regista dall'intelligenza acuta,non tralascia accenni politici da vero "auteur".
Costruisce cosi' sullo sfondo della citta' bastarda un connubio polemico e lacerante tra due commissari.
Il regista pugliese era una sorta d'ideologo comunista,imbastisce sceneggiatura e dialoghi pungenti, che s'intravedono nel confronto in questura tra i due poliziotti.
L'uno "protofascista" interpretato da Frank Wolff (il Gaspare Pisciotta del "Salvatore Giuliano" di Rosi).l'altro un "protocomunista" interpretato da Luigi Pistilli.
Vi è uno scontro di pensiero tra due "scuole " politiche agli antipodi,l'intelligenza registica è quella di "isolare" questo scontro,ponendo le basi al di fuori della letteratura "noir-poliziesca",incentrando il tutto su stilemi cinematografici d'attualita'.
Sono i famigerati "Anni di Piombo",percepibili nella Milano mafiosa di Lionel Stander o Gastone Moschin,anni dove mafia e politica stragista vanno a braccetto.
La "Milano calibro 9" di Di Leo è un documento filmico prezioso,nel sollevare le basi d'un cinema non solo duro e impudico nella figurazione,ma polemico nel rigore registico.
Si percepisce l'ottima scrittura di Di Leo,evincente nell'azione pura e nelle relazioni interpersonali,e sopratutto una brillantezza nelle difficili riprese esterne,supportate da un montaggio ottimo.
La ciliegina sulla torta la offre la suggestiva colonna sonora di Luis Enrique Bacalov,maestro musicale incontrastato d'un cinema "Settantiano",puro,ruvido e mai scontato........
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