Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
La rivalutazione di Totò, come dicono i giuristi, ha creato un pericoloso precedente. Da quando al principe De Curtis sono stati riconosciuti gli impareggiabili meriti, spesso destinati a foraggiare a suon di improvvisazioni i film di registi meno che mediocri, sono stati sdoganati attori, registi e generi quantomeno discutibili. Tra questi, non fa eccezione il poliziottesco degli anni '70, sottogenere cinematografico che in Italia non ha avuto mai concorrenti di rango, se non per qualche rara incursione nel genere di registi blasonati come Comencini, Steno o Damiani. Insomma, il poliziottesco all'italiana, che tanto ha ispirato Quentin Tarantino e che è diventato oggetto di attente riletture nella trasmissione televisiva Stracult, è esistito soltanto nella versione cadetta, senza mai disputare un campionato di serie A. A contendersi le posizioni apicali di questo particolarissimo torneo c'erano nomi come Umberto Lenzi, Lucio Fulci e Sergio Martino. Ma il "maestro" riconosciuto del genere era Fernando Di Leo, autore di questo Milano calibro 9 tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco. La vicenda è quella di Ugo (Moschin) che dopo tre anni di galera si ritrova ad avere a che fare con gli stessi gangster per i quali ha lavorato per anni, guidati da "l'americano" (Stander). Quest'ultimo è convinto che Ugo gli abbia sottratto 300mila dollari e fa di tutto per recuperarli, fino all'eccidio in sottofinale.
Guardando il film ci si domanda perché film come questo debbano, appunto, essere rivalutati. Il cast non è certo da buttar via ma l'abbecedario del cinema stenta a trovare una dimensione accettabile: le scene d'azione sono a dir poco goffe, gli inserti erotico-sentimentali entrano nel racconto con criteri imperscrutabili, le virate sul registro grottesco sono stridenti e la suspense è davvero carente. Non tutto però è da buttare, a cominciare dalla convincente interpretazione di Gastone Moschin e proseguire con un'inedita riflessione in chiave antropologica sulla devianza, con un poliziotto ruvido e passatista (Wolff) e uno giovane e progressista (Pistilli) e discettare animatamente sulle origini sociali del crimine.
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