Regia di Ken Russell vedi scheda film
Già realizzare un film su un mito è impresa da far tremare i polsi, figurarsi se a gettarsi nel progetto è uno come Ken Russell. Mica uno nei ranghi. Si deve essere pronti a tutto con Russell in mezzo ai piedi. Ed allora ecco questa fastosa e barocca, eccessiva e sciabordante biopic romanzato sulla vita e le opere di quella leggenda di Rodolfo Valentino. Emigrato in America con ambizioni non concernenti lo spettacolo, egli si ritrova a diventare il più importante ed amato divo del suo tempo, considerato perfino un dio da certa gente fanatica. Con i toni tutt’altro che compassati con cui si fece conoscere alle scandalizzate ed entusiaste platee di mezzo mondo, Russell dirige un disperato e tragico carnevale umano attraversato dai fiumi tormentati delle vite vissute: esprimendo il suo modo di concepire Valentino, imbastisce una colorata e forsennata macchina narrativa che vola sempre alto, nei territori lontani e vibranti del larger than life, quasi costruendo un’opera di astrazione immaginaria, ma allo stesso tempo è di una concretezza allucinante, specie in come descrive il sesso e la morte.
Anzi, forse la morte è rappresentata con uno sguardo beffardo e kitsch che lo rende perfino (volutamente sgradevole). Il pianto greco inscenato dalle varie donne che hanno accompagnato l’esistenza del divo ha qualcosa di sontuosamente decadente, malgrado ciò è la sublimazione a “vittima” (di se stesso, ma non solo) del protagonista – non si capisce bene se eroe o antieroe, ma poco importa. A tratti delirante e perverso, è un’opera che il passo di un turbinoso balletto operistico e tutto lo sviluppo sembra essere articolato proprio come un’opera (più che lirica, un’opera rock in anticipo sui tempi). Scelta discutibile, il Valentino impersonato da Rudolf Nureyev ha qualcosa di magneticamente potente: pur eccessivamente teatrale e troppo gesticolamento, forse pure programmatico, il più grande ballerino di ogni tempo dà l’anima nell’interpretare un personaggio nel quale probabilmente ci si ritrova. Appare perfino tutto ignudo (ma poteva permetterselo, stupendo e scultoreo com’era), segno che gli interessava particolarmente il progetto. Da ricordare la sequenza della gabbia dopo il matrimonio messicano: mette i brividi.
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