Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
La tesi di Anton Giulio Mancino e Sandro Zambetti, autori del Castoro su Rosi, è che il regista napoletano si sia rifugiato nella fiaba perché quando si accinse a girare il nuovo film, dopo il fiasco (artistico e commerciale) del Momento della verità, in Italia, almeno nel mondo del cinema, si avvertiva un clima di sfiducia dopo la conclusione del boom economico e per le speranze deluse dai governi di centrosinistra. Quando leggevo queste considerazioni, mi sembravano dettate da un eccessivo schematismo, ma in effetti la scena chiave del film, sul finale, suffraga questa interpretazione. È quella in cui il frate volante, fra' Giuseppe da Copertino, diventato santo subito, si rivolge a Isabella che medita di buttarsi a mare, incitandola a non arrendersi ed a lottare per riconquistare il principe, in quanto lei stessa è rimasta vittima di un inganno. E soprattutto convince la ragazza a non ascoltare gli altri santi, perché parlano sempre di rassegnazione e della necessità di accettare una vita di sofferenza. Con questo finale, il film di Rosi del 1967 sembra quasi anticipare quanto faranno di lì a poco i giovani in Italia e in Europa. Ma se le buone intenzioni lastricano la strada per l'inferno, questo è esattamente il caso, perché C'era una volta, nella filmografia del regista fa la figura del vaso di coccio tra i vasi di ferro e, tutto sommato, lascia il tempo che trova.
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