Regia di Tobe Hooper vedi scheda film
Qualche anno dopo la pubblicazione, la Warner acquisì i diritti dell'opera di Stephen King “Salem’s lot”. Data la grande mole di materiale il soggetto difatti era adattabile ad un lungometraggio. Paul Monash sostituì Robert Getchell e Larry Cohen, inizialmente scelti in qualità di screen writers. Tobe Hooper fu selezionato alla direzione (aveva una fama già consolidata nel genere horror). La Marsten House del libro venne invece rappresentata da un prospetto a più piani costruito su una casa preesistente. Insolito anche il casting: David Soul (“Starsky & Hutch”) si immedesima nei panni dello scrittore Bean Mears, mentre all’hitchcockiano James Mason è stato affidato il ruolo dell’improbo Richard Straker. Da segnalare altresì Bonnie Bedelia Culkin, Elisha Cook Jr. e Kenneth McMillan da secondari. Not bad…
Cominciamo con i lati positivi: il lavoro di Hooper è artigianalmente piuttosto curato e mostra la parvenza del miglior B-Movie da sala (nonostante venga concepito come miniserie). L’avveduta cifra stilistica dell’autore è particolarmente constatabile sia nell’utilizzo estremamente ponderato della sontuosa, accorata cosmesi di Jules Brenner, smunta nelle tonalità e dalle retroilluminazioni deperite nell’intensità (accortezze grazie alle quali la costernante presenza dei morti viventi assume delle connotazioni alquanto tenebrose e ripugnanti), sia nel trucco congeniale di Jack Young; l'immagine del villian è ispirata all’atavica maschera di Nosferatu. Un espediente casereccio apparentemente grossolano, sebbene qui funzioni egregiamente: i tratti e la mimica della bautta, fortunantamente, non eccedono in smorfie goffe o sciape moine. Le torve e agghiaccianti apparizioni dei vampiri sono inoltre cadenzate dal torbido, attanagliante sound design di Harry Sukman: un arrangiamento fosco e angosciante, il quale incombe minacciosamente nelle riprese in cui i succhia sangue svolazzano fuori dalla finestra, avvolti dalla nebbia fitta... Da brivido... E allora dove sta il dilemma dell'operazione? Lapalissiano: “Le notti di Salem” è essenzialmente uno sceneggiato (e del 1979!), con i prevedibili convenevoli del caso. Questo significa che si è costretti a ridurre i dialoghi in frasi bolsamente didascaliche, ad ovattare sintomaticamente la violenza, a riassumere soventemente molti punti chiave del racconto, a condensare più caratteri del romanzo in singole figure (spesso abbastanza pallide). Il risultato perciò è quello di un prodotto onesto e dalla realizzazione ammirevole, benché ormai datato nelle peculiarità legate all’intrattenimento di massa.
Com’è noto ci sono differenti versioni di “Salem’s lot”: due che andarono in onda sulla tv americana, rispettivamente di quattro e tre ore (quest’ultima la più diffusa), e la thetrical cut europea, decurtata a 112 minuti. L’edizione esposta al cinema è monca dell’intro e del vero epilogo, nonché priva di diversi passaggi; certuni importanti (le prime mutazioni degli abitanti), i restanti trascurabili (le inutili parentesi della banale sotto-vicenda di adulteri che coinvolge gli immobiliari). Consigliata quindi la release estesa. L’aspect ratio, concludendo, è in 4:3, e a quanto pare non è stato convertito in 16:9 per nessun supporto dell'home video.
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