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Un chien andalou

Regia di Luis Buñuel, Salvador Dalì vedi scheda film

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La recensione su Un chien andalou

di alan smithee
10 stelle

IMPULSI BUNUELIANI

Tutto si può affermare, tranne che Bunuel - in questa sua sconvolgente e disorientante opera d'esordio, concepita con la complicità visionaria e maliziosa dell'artista Salvador Dalì - non abbia preventivamente avvisato lo spettatore, sottoponendolo a tradimento ad una di quelle che restano tra le scene più sconvolgenti della storia del cinema: il taglio dell'occhio.
Bunuel stesso affila un coltello, ne tasta l'efficacia sulla propria unghia, guarda la luna dal terrazzo, sul far della sera, e quando la vede improvvisamente squarciata da un rivolo apparentemente innocente di piccole nubi sottili e taglienti, decide di passare all'azione ai danni della sua vittima.
Il "taglio" immagine che trasferisce l'azione in esecuzione sul bulbo oculare della donna, a quello in corso di esecuzione, efferato e davvero impressionante, che i retroscena rivelano riferirsi ad un vero occhio di un vitello di recente macellazione inquadrato in primo piano subito dopo la stessa ripresa sulla vittima umana, è un avvertimento risultato non solo efficace, ma destinato a passare nella storia del cinema di ogni tempo.
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Un avvertimento per lo spettatore, che proseguendo nella visione di quei brevi venti minuti di pellicola, in qualche modo avrà la possibilità finalmente, anche a costo di sofferenze e turbamenti, di avere di fronte la rappresentazione di tutto ciò che lo ha sempre turbato, a cui non ha mai osato aspirare, a cui non può rifiutarsi di assistere, rendendolo complice e voyeur di stati d'animo ed istinti insopprimibili che agitano le esistenze degli strani e disparati personaggi coinvolti.
"C'era una volta... otto anni dopo.... alle tre del mattino.... sedici anni prima... in primavera... sono puntualizzazioni temporali che non trovano un nesso logico decifrabile, ma vengono ostentati con intenti disorientanti tipici dell'atteggiamento surrealista nei confronti di utenti disposti a lasciarsi irretire, scioccare, e colmare di quell'inconfessabile gusto del proibito e della libertà dei sensi che le provocatorie situazioni provocano inevitabilmente anche sullo spettatore più smaliziato di oggi: figurarsi a fine anno '20, novant'anni fa, quando già il cinema si trovava in un delicato periodo di transizione dal muto al sonoro destinato a produrre effetti epocali e definitivi.
Tema centrale di questo destabilizzante, miliare corto d'esordio di Luis Bunuel, è senz'altro la pulsione erotica, il trasporto passionale, che diventa incontenibile, prepotente, fragoroso, sin esplicito ed incontrollato, in grado di porre i due amanti in una posizione che da una parte li mette al bando rispetto alle reazioni sdegnate di chi li circonda, ma dall'altra li pone come in una dimensione privilegiata in grado di renderli quasi intoccabili, come immuni alle reazioni di diffidenza e di sconcerto da parte di una collettività legata a principi morali e convenzioni che sia Bunuel che Dalì conbattono con ogni forza ognuno attraverso la propria forma espressiva. 
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Scene di nudo impensabili per quei tempi, con seni nudi che, toccati con voluttà, si trasformano in natiche e poi ritornano seni; mani che si sgretolano lasciando fuoriuscire grumi neri di formiche; individui androgini che osservano mani mozze ritrovate per la strada, prima di farsi travolgere da auto in corsa, sotto la vista di spettatori privilegiati da un interno di un'abitazione, a cui la scena cruenta fornisce l'alibi per dar sfogo a tutte le passioni represse dell'uomo sulla donna che ha dinanzi.

Si inseguiranno nel tempo e nello spazio, questa coppia coinvolta in spasmi di desiderio mai sincronizzati l'uno con l'altra, e finiranno nel peggiore dei modi, a primavera, sepolti sino a mezzo busto vicini uno all'altro, ma impossibilitati a toccarsi o anche solo a sfiorarsi nell'agonia che precede la fine.

Staffilate pungenti contro il ceto borghese e ancor più quello clericale, hanno in Un chien andalou, una funzione anticipatrice di tematiche scottanti e di origine anarchica che resteranno alla base di tutta la narrazione del grande cineasta spagnolo.

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