Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film
Un eccellente film sulla mafia e sull’Italia.
Fantastica è al resa del sud: schietto, pieno di emozioni felici, impastato però di omertà e di impossibilità di ribellarsi ai criminali, che sono i più ricchi, i più onorati, soprattutto sono quelli da cui solo dipende la sopravvivenza economica di tutti. E questo è fonte di emozioni molto infelici, che Sordi tratteggia in modo strepitoso. Il primattore incarna il perfetto siciliano, anche se lui nella realtà non lo è affatto. Però Sordi è italiano, e forse niente è più italiano della Sicilia. Ma è pur vero che poi solo un siciliano può rappresentare la Sicilia, se non in casi straordinari. Quindi i complimenti alla recitazione non vanno lesinati. Ma tutto il cast è eccellente, diretto con ritmo da Lattuada, che ha avuto la fortuna di sceneggiatori di rilievo come Scarpelli, Ferreri e Azcona.
Un’opera che mostra bene l’Italia per questo motivo: la povertà del sud è costretta dall’ingiustizia, ma al nord la prosperità, che è impedita al sud, è sì garantita, ma in un contesto non certo più morale. Per ottenere quel benessere, le condizioni sono squallidissime: l’immigrato ha fatto carriera con il cronometro in mano, controllando gli altri affinchè lavorassero senza la minima pausa (pausa che, anche se minima, nel capitalismo è un torto fatto intenzionalmente contro il datore di lavoro, in pratica un furto). L’impiegato inappuntabile restituisce la penna smarrita per farsi dire che è una brava persona: ma in realtà ha appena ucciso un uomo. Eppure di tale falsità non può fare a meno, per fare carriera.
C’è continuità tra nord e sud, anche nella rispettabilità, nel puro conformismo, dove l’uomo perde la sua umanità: uccide perchè gli conviene, altrimenti perde dei vantaggi economici, che poi servono al padre e neppure a lui stesso (anche se lui poi erediterà gran parte di quei vantaggi, è ovvio). Il baciamano forsennato al mammasantissima, l’asservimento a ogni condizione, richiama il feudalesimo, che al sud non è mai morto, in realtà.
Nel ‘62 c’era il boom economico, ma qui c’è la critica sociale, in controtendenza. Proprio in un momento in cui la mafia non veniva neanche toccata, (e la tendenza a non metterla in discussione seriamente è ancora apprezzata, sebbene in silenzio, da gran parte della classe dirigente tricolore, a 55 anni di distanza), l’immigrazione veniva vista come un’opportunità positiva da davvero molte persone (i meridionali che sopravvivevano, quei pochissimi settentrionali che avevano manodopera a basso costo), in quel periodo di crescita economica, senza volerne vedere i mali. Questi mali erano: la difficoltà dell’integrazione, evidente nella spesso chiara incomunicabilità tra i coniugi, siciliano lui e indigena milanese lei; la “esportazione” dei mali del sud (illegalità…) al nord, senza che, al contrario, al sud si beneficiasse dei meriti, per quanto limitati, della società del nord (senso maggiore del dovere, della legalità, dello stato). Ma va detto che questo punto è solo lambito alla lontana nel film, e lo è solo nei termini di una deriva morale di fondo: che comunque è chiara nei modi dell’imprenditore siciliano che a Milano chiede al suo dipendente siciliano un qualcosa indirettamente di immorale (e contribuisce a un assassinio, e non senza ignorarlo), con delle modalità che al nord non erano praticate prima dell’immigrazione, appunto.
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