Regia di Stuart Rosenberg vedi scheda film
Un film come questo, girato oggi sarebbe stato pieno di retorica, di buonismo e di moralismo. Un polpettone lacrimevole con grandi paroloni ridondanti e basta. Invece all’epoca c’era più intelligenza su come trattare certi temi, certi film. Anche se non si può fare di tutta un’erba un fascio, i ’70 hanno proposto un cinema diverso che visto oggi sa ancora appassionare. Il film in questione è un cosidetto prison-movie, ma a differenza di tanti altri, incentrati sul conflitto tra direttore sadico e carcerato innocente la cui opera migliore rimane “Lock Up” con un Donald Sutherland antologico, nonostante “Escape From Alcatraz” aveva tratteggiato con cura il ruolo cattivo del grandissimo Patrick McGoohan, il film di Stuart Rosemberg s’allinea più all’impegno di “Riot –La Rivolta-”, con un immenso Gene Hackman. Infatti Robert Redford non è il carcerato che subisce le angherie di secondini disumani o i soprusi di un direttore violento con cui ha un conto in sospeso, ma è lui stesso il direttore riformista. Contro di lui però si leva un vero muro di carcerati che, osservanti delle tradizioni illegali della loro prigione, non amano gli interventi progressisti del direttore Brubaker. In più il film ha il pregio di narrare le azioni con taglio documentarista senza però aderire alla realtà con espedienti tecnici come la camera a mano. Così, pur trovandoci di fronte ad un film di secco e inconfondibile impegno civile, abbiamo anche il piacere di gustarci un grande film, con bei personaggi, una narrazione efficace e una piccola passerella di volti noti tra cui Yaseph Kotto e Morgan Freeman. Redford rimane un grande.
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