Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Temi esistenziali in chiave di horror d'autore. Quasi una sorta di Bergman del brivido. Il "cinema della carne" cronenberghiano trova qui una delle sue espressioni più compiute e folgoranti. "The Brood" è uno dei massimi capolavori del genio canadese, e probabilmente il suo film più puro e personale. Un horror dolente, splendidamente conturbante.
Il gelo dei rapporti umani e l'infanzia che ne viene sporcata, "contaminata"; i bambini, eterne vittime del fango morale degli adulti; la carne che muta; i veleni della mente che invadono anche il corpo; la psicoterapia; l'orrore della nascita; la follia e la solitudine.
Temi enormi ed universali, che Cronenberg, qui al suo secondo film "ufficiale", affronta in chiave di horror psicodrammatico d'essai. Quasi una sorta di Bergman del brivido e della suspence.
Il "cinema della carne" cronenberghiano trova qui una delle sue espressioni più compiute, memorabili e folgoranti. Addirittura, attraverso la figura inquietante del dottor Raglan (Oliver Reed), il regista (qui anche sceneggiatore -e si nota!) inventa una teoria psichiatrica rivoluzionaria: la psicoplasmia, che si basa proprio sulla convinzione che il potere -talora morboso e nefasto- del cervello possa influire sul corpo e sulla materia fisica, riversando nella carne i sentimenti negativi che infestano la nostra mente. Con esiti, però, che nel film saranno devastanti.
Questo The Brood (1979) è senza dubbio uno dei massimi capolavori del genio canadese, e probabilmente la sua opera più sofferta e personale. Un horror dolente, splendidamente conturbante.
Nella mostruosità dell'aberrante, sanguigna partenogenesi di Nola (Samantha Eggar), l'autore de La mosca e Scanners mette in luce il degrado morale di una società in cui l'amore ed i sentimenti sono costantemente (già allora: figuriamoci oggi!) calpestati, corrotti dalla rabbia e dalla pazzia umana. Ed è proprio la rabbia la chiave di volta dell'intera vicenda: i mostriciattoli che uccidono persone legate affettivamente a Frank (Art Hindle), e infine rapiscono la sua piccola Candice (Cindy Hinds), sono "figli della rabbia" della moglie Nola, guidati dalla sua gelosia, dalla sua follia distruttrice, dal suo istinto materno deviato e mortificato dall'abbandono del marito.
La rabbia, dice Cronenberg, può farsi carne (e tale teoria "speculativa" trova anche conferme scientifiche: vedasi i tanti casi -seppur mai del tutto accertati- di cancro psicosomatico) ed ottenere così la propria vendetta, sugli altri e/o su se stessi. Assunto atroce, ma d'innegabile fascino ed interesse.
Grazie alla cupa fotografia monocromatica di Mark Irwin, il film è caratterizzato da un'atmosfera davvero unica, algida e desolata: i paesaggi invernali, la neve, le strade perenemmente bagnate di pioggia, il cielo grigio e plumbeo. Antica strategia figurativa (pittorica e registica, ma anche narrativa e poetica) per descrivere e rispecchiare nei luoghi fisici, negli spazi esterni, gli stati d'animo dei protagonisti.
Lo spettatore esce dalla visione estremamente turbato, talmente si è immedesimato nei malesseri corporei, psichici e paesaggistici che il film dipana lungo tutta la sua durata. E la glacialità è l'elemento primario, cruciale: un freddo irrimediabile, che vive nell'anima, e che i cappotti imbottiti di pelliccia dei protagonisti non possono in alcun modo scacciar via.
La regia è magistrale, assolutamente lucida, sorprendentemente matura per un'opera seconda (che, invece, non è seconda a nulla e a nessuno).
Gli attori sono tutti efficaci, sebbene Art Hindle (il protagonista, marito di Nola, padre tormentato e solo) sia scarsamente espressivo; però Oliver Reed è grandioso come sempre, e Samantha Eggar di un'intensità ferina agghiacciante.
La scena dell'omicidio nell'asilo, con la maestra uccisa a martellate davanti ai bimbetti terrorizzati, è una delle cose più sconvolgenti mai viste al cinema, e rimane impressa nella memoria per il tempo di una vita (com'è accaduto al sottoscritto). Vista anche decine di volte, mantiene sempre intatti la sua carica eversiva ed il suo senso di brutalità innaturale, straniante, quasi apocalittico. Un luogo deputato al gioco, alla serenità infantile, alla dolce quiete d'una placida evoluzione interiore, macchiato d'improvviso dal sangue e dalle urla... Da brividi (freddi, ovviamente)!
Altra scena capitale è quella dell'impressionante ed inaspettato finale, con il parto disumano, "animalesco" di Nola: disgustosa rappresentazione metaforica della bestialità insita nell'essere umano che, a causa dei propri abissi interiori e della mancanza d'Amore del mondo, ha progressivamente perso ogni connotato "civile" per trasformarsi in una belva inquinata dall'odio e assetata di vendetta.
I "figli della rabbia", non a caso, vengono alla luce in un cupo cottage tra i boschi, senz'amore, senza sesso, senza piacere né gioia. Sono il frutto esclusivo e solitario del rancore e dell'egoismo, e di tale abominio etico recano persino all'esterno il marchio, con le orrende fattezze e le deformità anatomiche che li caratterizzano.
Gli ambienti del film, così reali, monotoni e ordinari, contribuiscono alla sensazione strisciante di un assurdo incubo che si fa vita, che nasce dalla collera mutata in carne per poi invadere la tranquilla quotidianità e l'innocenza dei cuori, generando orrore e morte.
The Brood non è solamente uno dei più grandi capolavori di David Cronenberg (uno dei più puri, ben prima che il suo immenso talento fosse anch'esso, almeno in parte, "contaminato" dal notorio e spietato mercimonio hollywoodiano), ma è anche uno dei capisaldi assoluti del moderno cinema horror più intelligente, autoriale ed autorevole.
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