Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Opera dell'ateo anticlericale Buñuel sul tema della religione, di grande rigore teologico e di grande estro surrealista, per la gran parte criptica ed oscura, faticosa da seguire e di ardua interpretazione, e tuttavia indubbiamente affascinante e stimolante, sebbene sospetto possa essere compresa appieno solo da un teologo ribelle e dissidente.
La Via Lattea è il nome alternativo dato alla “Strada di San Giacomo”, i cui resti furono ritrovati nel l'Alto Medioevo nel “Campo delle Stelle”, da cui deriva il nome del santuario di Santiago de Compostela. Proprio il pellegrinaggio di due mendicanti da Parigi a Santiago de Compostela lungo il celebre Camino costituisce l'itinerario narrativo di quest'opera del tardo periodo francese di Luis Buñuel, dedicata alla riflessione sulla religione, di cui il regista spagnolo era sì un feroce critico ma pure un approfondito conoscitore. Attraverso le tappe del viaggio dei due pellegrini e i molteplici incontri effettuati lungo la via con disparati personaggi, tutti singolarmente impegnati in discussioni teologiche, vengono presentati i principi della religione cattolica e delle molteplici eresie sortele in seno nel corso dei secoli, opponendosi e contestandone i dogmi ufficiali ("Tutto ciò che, in questo film, riguarda la religione cattolica e le eresie che essa ha suscitato, particolarmente dal punto di vista dogmatico, è rigorosamente esatto. I testi e le citazioni sono conformi sia alle sacre scritture, sia e delle opere di teologia e di storia ecclesiastica antiche e moderne" recita la didascalia che conclude il film).
Al rigore teologico fa da contrappunto lo sfrenato surrealismo dell'autore, che qui si esplica in una serie di episodi talvolta apparentemente assurdi, il cui filo conduttore sfugge ad una comprensione logica e richiede piuttosto di lasciarsi trasportare dall'estro immaginifico di momenti simbolici e visionari, quali la la monaca che si fa crocifiggere, Gesù che intende radersi con la schiuma e il pennello da barba ma viene dissuaso dalla Madonna, la transustanziazione spiegata con un paté di lepre, un saggio di angeliche bambine che recitano compite ferali anatemi, un duello a fil di spada tra un gesuita e un giansenista, gli sproloqui sull'inesistenza di Dio di un infervorato Marchese de Sade ad una terrorizzata vittima, un papa fucilato da un plotone d'esecuzione. Fino ad una conclusione ben poco sacrale in cui, arrivati i protagonisti a Santiago, si compie la profezia del misterioso uomo col mantello incontrato alla partenza, con la ricerca di una prostituta con cui concepire dei figli dai nomi bislacchi quali “Tu non sei il mio popolo” e “Non più misericordia”.
Nel mondo onirico in cui si muove l'autore si attraversano e si deformano le dimensioni del tempo, con i due contestatori della trinità che passano con nonchalance dal '600 all'epoca moderna, e dello spazio, con il prete che non viene fatto entrare nella stanza, ma ad un tratto appare all'interno, come Gesù che nacque dalla madonna senza violarne la verginità.
L'ateo e anticlericale Buñuel, che non manca quasi mai di inserire in ogni suo film una stilettata alla Chiesa, in questa pellicola dedicata esclusivamente alla religione appare persino più rispettoso che altrove nei confronti della fede, che non irride in maniera dissacrante o blasfema, ma piuttosto mette in discussione con ironia, disseminando la pellicola di spunti che spingono a riflettere criticamente sui dogmi religiosi. Severa e tranchant è solo la sua condanna del clericalismo ottuso e fine a se stesso, esemplificato dalla figura del direttore del lussuoso ristorante, la cui apparente aderenza intransigente ai dogmi della religione (“Solo l’insensato dice in cuor suo: Dio non esiste...Solo gli uomini immorali non credono in Dio.”) si accompagna ad una distanza siderale dallo spirito evangelico, quando allontana in malo modo i due poveri viandanti che chiedono soltanto un po' di cibo.
La Via Lattea è, anche per gli standard buñueliani, un'opera complessa e per la gran parte criptica ed oscura (e d'altronde “la religione senza mistero non sarebbe più religione”), quindi faticosa da seguire e di ardua interpretazione, e tuttavia indubbiamente affascinante e stimolante, che richiede probabilmente per essere pienamente apprezzata ripetute visioni oltre che una conoscenza abbastanza approfondita della storia del Cristianesimo. Se alla prima visione mi aveva totalmente respinto, adesso alla seconda ho iniziato ad apprezzarla, sebbene non al livello di altri capolavori del Maestro spagnolo; forse ne sarà necessaria una terza, anche se sospetto che solo un teologo – beninteso ribelle e dissidente - la possa capire appieno.
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