Regia di Arthur Penn vedi scheda film
“Dov’eri quando uccisero Kennedy?” “Perché me lo hai chiesto?” “E’ una domanda a cui sanno rispondere tutti”.
Se l’omicidio del presidente Kennedy aveva rappresentato l’avvio del processo di deflagrazione di una generazione che di lì a poco avrebbe visto naufragare ogni certezza, lo scandalo Watergate del 1972 suonò come un definitivo colpo di grazia. L’America si scopriva fragile e insicura, schiava di inquietudini, paure e paranoie che si riflettevano sui suoi cittadini lasciandoli soli e sfiduciati. Bersaglio di notte (Night Moves, 1975), con il quale Arthur Penn tornava dietro la macchina da presa dopo cinque anni di assenza, è una delle opere fondamentali all'interno di questo periodo storico. Ed il suo protagonista, Harry Moseby, diventa l'emblema cinematografico di una generazione di sconfitti e di perdenti. Da giovane promessa del football, Harry adesso per 125 dollari al giorno più le spese fa l’investigatore privato. Dopo aver scoperto che la moglie (Susan Clark) lo tradisce, si illude di poter dare un senso alla propria buia vita quando riceve l’incarico da una ex attrice di ritrovare la giovane figlia (Melanie Griffith) scappata di casa non si sa dove né con chi. Ma la sua è una vana illusione, che si scontra con un inevitabile destino alla sconfitta.
Harry Moseby è l’ennesimo personaggio in crisi d’identità nella filmografia di Arthur Penn, autore di punta della cosiddetta New Hollywood e tra i primi a farsi carico di tutta la carica eversiva di un innovativo cinema che metteva in risalto il disfacimento culturale ed emotivo di un intero popolo. Reduce dal grandissimo successo di Piccolo grande uomo, con il quale aveva fatto i conti con un genere (il western) ed un passato opprimente della storia americana, Penn torna al cinema con Bersaglio di notte, opera magnifica, dolente e pessimista sceneggiata dal grande Alan Sharp (già autore del bellissimo script di Nessuna pietà per Ulzana). Qualcuno, vedendo il film, dirà che è lento, che lascia poco spazio alla trama ed ai risvolti gialli. È proprio così. A Penn tutto ciò interessa poco o nulla, e fa di tutto per farcelo capire. Le digressioni narrative, i momenti descrittivi e contemplativi ci mostrano chiaramente che il caso di cui si occupa Moseby è solo un mero pretesto narrativo, al quale forse non è prevista nemmeno soluzione. Penn utilizza il genere noir per parlarci di altro, per realizzare il ritratto di un personaggio e della sua parabola discendente verso l'annullamento. I segni dello sbandamento sono cuciti sul volto e sul corpo di un Gene Hackman di mostruosa e indescrivibile bravura, che proprio l'anno prima era stato l'Harry Caul de La conversazione, capolavoro di Francis Ford Coppola che ha più di un punto in comune con Bersaglio di notte. Pur considerandosi “un asso” nel suo mestiere, Harry scopre troppo tardi il tradimento della moglie, e reagisce passivamente, con una muta indifferenza. All’inizio non le dice nemmeno di averla vista con un altro uomo, perché gli manca il coraggio o la voglia di parlare, come gli era mancata anni prima la voglia di andare a parlare al padre che non aveva mai conosciuto e che, dopo varie ricerche, aveva finalmente trovato. Lei addirittura lo rimprovera per la sua inerzia e rassegnazione, gli rinfaccia che se lui glielo avesse chiesto, forse lei glielo avrebbe detto. Invece di affrontare la realtà ed un matrimonio a pezzi, Harry decide di rifuggirla gettandosi anima e corpo in un caso intricato e senza via di uscita. Durante la sua indagine conosce una donna, Paula (Jennifer Warren), con la quale condivide una notte d’amore e una sottilissima speranza di felicità. Il loro incontro è uno dei momenti più teneri e illusori del film. “La prima volta che mi toccarono il seno fu un ragazzo, Billy Langruder. Dopo mi restarono i capezzoli duri per almeno mezz’ora. Non trovi che è triste?” gli confessa lei. “No. Lo trovo dolce.” “Io no, io trovo che è tristissimo”. Nell'egoistica speranza di trovare un senso salvifico alla propria esistenza, Harry fallisce su tutta la linea, mettendo involontariamente in moto una serie di tragiche conseguenze e riuscendo solo ad ottenere la definitiva annullazione di sé stesso e di ogni sua emozione. “Non se ne accorse, faceva un altro gioco e perse…”, dice raccontando una famosa partita di scacchi giocata nel 1922 e riferendosi al giocatore che fu sconfitto. Harry non lo sa, ma in quel momento sta parlando proprio di sè stesso: è proprio lui a non accorgersi di quanto gli stia succedendo intorno, è lui che sta facendo un altro gioco e che finisce col perdere tutto. Prima del magnifico finale, ambientato in mare aperto, illuminato dal sole eppure così tristemente desolato, Paula gli aveva chiesto di andare via insieme a lei. “Perché non ti accontenti di aver risolto il caso?” “Perché non ho risolto niente".
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