Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film
Perchè questa roba è indifendibile? Non servono nemmeno tante parole. Il poliziottesco - degenerazione in chiave di commedia del poliziesco, fenomeno tipico italiano di metà anni '70 - parte da presupposti veristi: cronaca nera (di cui riprende alla lettera i titoli sui quotidiani e da cui spesso si fa influenzare per le trame), personaggi il più possibile popolari (qui c'è un buon campionario di facce 'de borgata'), linguaggio del volgo messo in bocca mica solo ai delinquenti, ma anche ai poliziotti. Eppure, contraddizione gravissima che sbriciola immediatamente tutte le credenziali che il lavoro pretenderebbe di mostrare, nel poliziottesco di vero non c'è assolutamente nulla. Si preferisce la spettacolarità delle scene alla loro verosimiglianza (Lenzi in questo campo ha buona mano, va riconosciuto, e infatti ne fa la componente principale di molti suoi lavori); si farcisce di stereotipi la storia, a partire dalla divisione manichea dei ruoli dei personaggi: il cattivo che non si redime a nessun costo ed il buono - violento, burino anche lui: ci mancherebbe altro - che è disposto a sacrificare perfino sè stesso pur di far trionfare la Giustizia; inoltre gli scarsi budget del genere significano frequentemente bassa professionalità, che, per un direttore degli attori disastroso come Lenzi, è un vero danno. Questo era un piccolo trattatello sul poliziottesco che può essere applicato in toto per questa specifica pellicola, ma il discorso vale allo stesso modo per tante altre. Milian torna a lavorare con Lenzi ed impersona il Gobbo, losco e sordido individuo (per quanto vessato continuamente dal commissario Tanzi: il che ragionevolmente costò a Merli - secondo quanto dice Wikipedia - la simpatia del pubblico che si riconobbe maggiormente nel Gobbo) che alla fine della pellicola muore. Pochi mesi dopo, nel sequel La banda del Gobbo, miracolosamente il personaggio - senza troppe ciance - resuscita. Come non bastasse quanto detto, sempre Wikipedia segnala un altro increscioso indizio di quanto in basso potesse essere trascinato il livello qualitativo di questi prodotti seriali: pare che alcune scene di inseguimenti siano state semplicemente prese di peso da un precedente film del regista, Milano odia, ed inserite a forza nella presente pellicola. A fronte di tutto ciò, Roma a mano armata propone pure una morale desolante e facilmente interpretabile in chiave destroide, secondo la quale la giustizia personale è la migliore di tutte e probabilmente l'unica che funzioni; un esplicito invito insomma a far rispettare la legge del più forte (e violento). Da tanto sfacelo bisogna per forza salvare, oltre alla citata buona propensione del regista per l'azione, la colonna sonora del grande Franco Micalizzi. Producono Luciano Martino e Mino Loy, sceneggiatura di Dardano Sacchetti, fra gli interpreti oltre a Merli e Milian anche Maria Rosaria Omaggio ed Orso Maria Guerrini. 3,5/10.
Il commissario Tanzi brutalizza un delinquentello in questura: viene degradato, infilato all'ufficio licenze pubbliche e il caso viene insabbiato. Lui però non ci sta: ricomincia a infastidire i malavitosi in privato e viene avvertito con un rapimento e rilascio-lampo della moglie. Tanzi insiste ancora: deve vendicarsi per forza.
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