Regia di Edward Dmytryk vedi scheda film
Studio psicologico, derivazioni “noir”, atmosfere fuori-genere e personaggi profondi sono parole chiave dei film western anni ’50, la cui parabola si chiude giustamente e magistralmente con “Warlock”. Nella vicenda che vede contrapporsi i tre personaggi principali di Fonda, pistolero assoldato per giustizialismo, Quinn, il suo amico con tensioni omosessuali, e di Richard Widmark, ex-bandito che si vota alla giustizia, molti sono gli elementi che caratterizzano questa pellicola. Dapprincipio i personaggi stessi, tutti degli spostati che come dice Vieri Razzini, hanno una valenza doppia all’interno della storia. Fonda vuole mantere la legge senza essere uomo di legge. Quinn si divide tra due amori, quello etero per Lily e quello omosessuale per Fonda. Widmark è così spinto a desiderare la legge vera e propria che affronta con stoicismo la rivalità con il fratello minore e con la sua vita passata. Ma a dare peso alla sceneggiatura ci pensa anche il rapporto tra Fonda e Quinn. Se non si può parlare di omosessualità dichiarata, si può almeno vederla come esplicitata e non più velata o criptata da un’amiciza virile ingombrante. Il perverso gioco che macchina Quinn per veder morto l’uomo della sua ex donna, Lily, e che coinvolge anche il Fonda da lui “amato”, ha il sapore della tragedia cercata e voluta, tipica di tutti gli animi inquieti per amore. E’ qui che possiamo trovare la componente amorosa del loro rapporto, nella febbricitante voglia di confrontarsi fino all’autodistruzione con l’oggetto amato e desiderato, come se fosse una perversa fonte di piacere. Il duello mortale tra i due, sarà infatti girato in una notte di tempesta, e chiuso con un grosso incendio che richiama l’immaginario infernale delle più classiche tragedie umane. Non solo, il personaggio di Quinn si presenta ubriaco, ovvero in quell’esperienza parallela ai canonici sensi umani che ci permette di vedere il mondo in forme diverse. Questo permette a Quinn di sbandierarsi come maudit senza speranze, la cui ricerca della morte è anche un po’ la ricerca di un piacere sessuale che altrimenti non arriverebbe mai. Il desiderio di possedere l’altro, atavicamente incarnato dal cannibalismo, s’è traslato da secoli nel sesso, e quando questo viene meno, riaffiora un perverso desiderio di inglobazione fisica degenerante. Il tema è di per sé anche inquitante, ma al tempo stesso ci intenerisce davanti a quelle figure che non trovano altre vie per vivere una propria felicità affettiva.
Ma il film di Dmytryk si addentra anche in altri territori come la libertà e la giustizia. Il più volte ripetuto “vieni qui” di Fonda al capoccia di un linciaggio cittadino, è il manifesto della sua sprezzante posizione nel conflitto tra giustizialismo e giustizia. Fonda assume, come in “Firecreek” un’ambigua posizione tra il protagonista e l’antagonista, tra il buono e il vero cattivo ultimo della storia. In una terra davvero libera uomini come lui sarebbero un controsenso, e questo lo intuiscono anche i banditi. Ma ogni personaggio è classicamente ancorato al suo ruolo e i banditi faranno i banditi, e i giustizieri i giustizieri. Solo sul finale, dopo che Fonda, in una grandiosa interpretazione, getta via le sue pistole dorate e se ne va di spalle nella più tipica delle tradizioni western, assistiamo ad un vero e definitivo tentativo dell’autore di apologizzare né la giustizia né la legge né tantomeno il giustizialismo, ma invece la scelta pacifica e peculiarmente umana di decidere per il disarmo. La scelta quindi, e non la costrizione, farebbe del West (il mondo sognato da tutti) un mondo migliore.
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