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Django

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Django

di Mr Rossi
6 stelle

Una delle prime imitazioni da due dollari dei primi western di Leone con qualche trovata originale, che però segnava già la decadenza e la mancanza di fantasia di un sottogenere in principio di grande successo di pubblico, anticipando gli ultimi "trash western" italiani di metà anni 70.

 

   Girato a basso costo sulla scia del grandissimo successo del primo western di Leone, “Django” può essere considerato il suo derivato più originale se paragonato ai seguiti con protagonisti dei personaggi uguali o simili, girati dopo il suo discreto successo. Sergio Corbucci, insieme al fratello Bruno, era uno dei tanti artigiani di Cinecittà che erano passati da un genere di film all' altro a seconda dei gusti del grosso pubblico, comprese alcune commedie con Totò. Prima di Django S.Corbucci aveva già diretto tre film western (Minnesota Clay, Navajo Joe Johnny Oro) dai risultati variabili ma non paragonabili a questoRispetto agli altri, girati con più mezzi e comparse, Django probabilmente fu l' ultimo tentativo di racimolare molti soldi con poca spesa. Pare che venne apprezzato anche all' estero, in particolare in Africa e in Germania ma anche negli Stati Uniti. Se questo fu il film che ispirò Tarantino per il suo recente Black Western "Django Unchained" non si sa se è stato visto da molti americani. Nel suo dizionario dei film, un cinecritico americano di moda ha scritto che il protagonista tiene nascosta nella bara una pistola mentre in certe brevi descrizioni italiane della trama il capo dei nemici di Django si chiamerebbe Winchester Jack. In realtà si tratta di un film che ebbe un breve successo dopo la sua uscita della durata di pochi anni per poi essere dimenticato per decenni.

 

   La “novità” è la stessa mitragliatrice vista nelle mani di Gianmaria Volontè in “Per un pugno di dollari”, costudita in una bara che il nostro disgraziato antieroe si porta dietro a piedi, un fintissimo attrezzo scenico spara scintille a metà strada tra un tritacarne, un giocattolo e una mitragliatrice della prima guerra mondiale, con il nastro dei proiettili guarda caso sempre inserito ma immobile. In realtà dovrebbe essere una mitragliatrice Gatling Modello 1865 a canne rotanti con funzionamento manuale a manovella. Forse c'era da pretendere troppo da un film come questo ma in altri western nostrani girati in seguito si vedrà in azione anche quella mitragliatrice, anche in film molto meno seri come "Ciccio perdona... Io no!" (1968) di Marcello Ciorciolini, dove si vede in azione una molto più credibile Gatling, anch' essa nascosta in una bara. Ma tornando al film di Corbucci, non potevano fargli trasportare quella pesante bara con dentro la mitragliatrice alla guida di un carro funebre trainato da almeno due cavalli? O forse costava troppo? Neanche a quei tempi remoti, dove tutto si faceva a mano, un essere umano anche giovane e forte come Trinità e Bambino, avrebbe viaggiato a piedi per miglia e miglia nel deserto trascinandosi dietro un peso simile senza morire di fatica! Povero Django!

 

   La storia è simile a quella già vista nel primo celebre western di Leone, con un velocissimo pistolero dalla mira micidiale in mezzo a due bande armate rivali, questa volta una di razzisti americani e una di banditi messicani, solo che Django sceglie di stare dalla parte dei desperados perché l’ altra banda è composta da reduci sudisti che anni prima gli avevano ucciso la moglie (che non viene uccisa nel film dai messicani per ritorsione nei confronti del protagonista come ha scritto qualcuno) forse perché lui aveva scelto di combattere dalla parte dei vincitori, dei quali porta ancora la divisa blu da soldato della cavalleria nordista, in questa versione più simile all' abito civile di un beccamorto. Un personaggio molto ispirato a quelli di Clint Eastwood e Lee Van Cleef nel secondo western di Leone girato poco tempo prima. Rispetto al brillante pistolero Johnny Oro del precedente western di Corbucci, il suo Django sembra l' antitesi: Trasandato, triste, quasi indifferente verso chi lo circonda e di poche parole, talvolta ironiche ma in situazioni dove c'è poco da ridere. Ovviamente quando spara uccide subito senza pietà. A sua volta ispirò molto altri infallibili pistoleri nerovestiti in altri western nostrani successivi come Sartana, Sabata e simili. In altri western nostrani bastava il nome del personaggio nel titolo, come nel caso di "Il figlio di Django" di Osvaldo Civirani.

 

   Il capo dei suoi nemici è il maggiore Jackson, un ex ufficiale confederato in borghese che da tipico “gentiluomo del sud”, non trovando negri da linciare e uccidere essendo sul confine messicano, gioca ancora alla guerra divertendosi insieme ai suoi degni amici con il sadico gioco del “tiro al peone”, facendo correre i malcapitati immigrati clandestini per poi colpirli alle spalle con il suo fucile Winchester. Strano che un personaggio del genere abbia dei rapporti di interesse economico con i federales dell' esercito messicano appostati vicino al confine. In ballo c'è un sacco d' oro in polvere. Quando troverà Django ad aspettarlo nel villaggio fantasma immerso nel fango, il fanatico capobanda sudista avrà una brutta sorpresa insieme ai suoi sgherri incappucciati di rosso, che sfilano in processione mostrando una croce infuocata, tipico simbolo della tristemente nota setta assassina e razzista del Ku-Klux-Klàn, fondata nello stato del Tennessee subito dopo la guerra civile americana da quei reduci confederati ancora non rassegnati del tutto alla sconfitta subita e soprattutto all’ abolizione formale della schiavitù nelle loro terre. Ma cosa ci facevano quelli in questo film western ambientato al confine con il Messico lo sapeva solo il defunto regista romano. Forse Corbucci si era ispirato anche a quelle storie di bande di fuorilegge, soprannominati "Johnny Rebels" composte da ex militari confederati che non si erano arresi all' Unione subito dopo la fine della guerra civile, spadroneggiando anche nei territori di confine, specialmente se ricercati per rapina e omicidio come il famoso bandito Jesse James. 

 

   "Django" si conclude con un totale di 147 morti ammazzati in poco meno di un ora e mezzo di durata, un record raggiunto solo dal celebre western americano "Il Mucchio Selvaggio" girato qualche anno dopo da Sam Pechimpah. Nel primo western di Leone i caduti erano in tutto 83 mentre nel secondo "solo" una quarantina. Tra le scene più violente sono da ricordare un orecchio mozzato con un coltello, un occhio colpito da una fucilata, due mani fracassate dal calcio di un fucile e dagli zoccoli dei cavalli, una donna presa a frustate sulla schiena e una lotta nel fango tra baldracche rigorosamente vestite, questa degna di uno squallido spettacolino da night-club di periferia. Scene da costargli allora un divieto ai minori di diciotto anni, come per i primi western di Leone ma che, con quello che si vede oggi, viste adesso fanno ridere anche i bambini talmente sono finte. In Inghilterra "Django" venne distribuito dopo vent' anni dalla sua uscita al cinema perchè ritenuto troppo violento dalla censura britannica. Nel cast tecnico si nota il nome un allora sconosciuto direttore della fotografia (Enzo Barboni) che pochi anni dopo ebbe successo come il regista di western molto meno violenti come "Lo chiamavano Trinità" "Continuavano a chiamarlo Trinità" con Bud Spencer & Terence Hill. Pare che Barboni optò per dei personaggi meno sanguinari e più bonari perché si era stancato di vedere troppi western che si concludevano con degli incredibili massacri commessi da spietati pistoleri vendicatori.

 

   "Django" di Sergio Corbucci è uno dei primi western Made in Italy che segnava già la decadenza futura di un sottogenere che in poco più di dieci anni sfornerà l’ incredibile numero di circa trecento (300!) film western italiani girati dal 1965 al 1978 spesso coo-produzioni italo-spagnole-franco-tedesche. Di  altri western con il nome di questo protagonista ne girarono più di dieci, con degli attori protagonisti che andavano dall' italiano Terence Hill (Preparati la bara! di Ferdinando Baldi) al sudamericano Anthony Steffen (Django il bastardo di Sergio Garrone) e altri titoli di scarsa fantasia come "Django cacciatore di taglie", "Django spara per primo", "Pochi dollari per Django" e altri. Anche a causa di questi innumerevoli tentativi d' imitazione, Franco Nero, pur interpretando da protagonista altri western italospagnoli, non volle rifare quel personaggio per non venire scambiato dal pubblico per uno dei tanti imitatori italiani di Clint Eastwood.

 

   Nel primo Django si notano delle scenografie fatiscenti degne di un film horror e una qualità altrettanto scadente dei costumi e di certe armi di scena, addirittura inferiori a quel citato western comico con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia uscito un anno dopo. Un vero peccato per un film come questo, dove poche idee nuove in più bastavano a renderlo più originale di tanti altri. La qualità artistica ricorda quella degli ultimi western italiani girati verso la fine degli anni settanta, film ancor meno noti come "Keoma" e "Mannaja", con ambientazioni altrettanto desolate e scene di violenza esasperata che niente avevano a che fare con quella tragicomica dei precedenti western pugni e fagioli alla Spencer & Hill. A proposito del film di Corbucci il cinecritico italiano Morando Morandini scrisse di recente nel suo dizionario dei film che: "L' inverosimiglianza della storia, i dialoghi, l' humor nero e la psicologia dei personaggi sfiorano il delirio" e secondo me non ha tutti i torti. Più riuscita la struggente canzone dei titoli di testa e finali, composta dallo spagnolo Luis Enriquez Bacalov e cantata in inglese da Rocky Roberts, quello della nota canzone estiva “Stasera mi butto!”

 

  I personaggi secondari sembrano presi in una osteria di borgata o da un nosocomio: Un brutto ceffo dal volto scheletrico degno di un film horror di zombi (Josè Terròn, la prima vittima di Lee Van Cleef nel secondo western di Leone) che nel film si fa chiamare Ringo (come quell' altro eroe degli spaghetti western interpretato da Giuliano Gemma! Che fantasia!) un vecchio barista nano (Angel Alvarez) alcune stanche mignotte e una sottospecie di perfido predicatore bigotto (Gino Pernice) che assomiglia molto all' attore Enzo Robutti, visto in certi film comici con Alvaro Vitali. Altri ignoti membri italiani del cast come Stefano Rossi e Ivan Scatruglia, finirono la loro carriera di attori caratteristi con un centinaio di film vari ciascuno, dove interpretarono sempre i cattivi di turno da uccidere subito o nella migliore delle ipotesi da prendere a calci e pugni, come si può notare in qualche western spaghetti e film poliziottesco girato dopo. E meno male che il commento del trailer italiano parlava di "uno straordinario complesso di attori". Pare che il regista dovette realizzare questo film in poco tempo e con mezzi molto scarsi oltretutto in Spagna, ormai scelta come teatro di quasi tutti i western italiani ambientati sul confine messicano. Banalissimi i banditi messicani da figurine omaggio, guidati da un feroce Pancho Villa dei poveracci interpretato dal tarchiato e baffuto attore spagnolo Josè Bodalo, un grossolano cattivo da fumetto che non regge il confronto con il rivale interpretato dal connazionale Eduardo Fajardo, un più distinto ex avvocato di Madrid che dopo questo film interpreterà altri cattivi in molti western italospagnoli come in "Shango la pistola infallibile" di Edoardo Mulargia, nel quale interpretò un personaggio antagonista molto simile al maggiore Jackson ma vestito in modo più credibile.

 

   Il cast è composto da ignoti ma collaudati caratteristi spagnoli di secondo piano che senza i western spaghetti avrebbero recitato poco e da giovani neo esordienti italiani come l' ex Miss Trieste Loredana Cappelletti in arte Nusciak, che dopo quersto fortunato western interpretò altri film d' altro genere di registi italiani di scarso spessore. Nello stesso anno Loredana Nusciak aveva fatto parte del cast del film italiano di supereroi "Superargo contro Diabolikus" di un certo Nick Nostro mentre Nero di quello del film di fantascianza "I diafanoidi venuti da Marte" di Antonio Margheriti, entrambi di scarso successo. Lo scomparso Fajardo concluse la sua lunga carriera dopo aver partecipato a quasi 110 film, in gran parte girati in Spagna e in Messico, per la maggior parte in ruoli di antagonista. Django fu il primo ruolo importante da protagonista per l' allora giovane e sconosciuto parmense di origine meridionale Franco Sparanero in arte Nero, che tornerà a interpretare quel personaggio solo nel 1986, quando ormai era stato dimenticato da tempo dal grosso pubblico, più favorevole a vedere i nuovi eroi americani alla Rambo.

 

   Infatti in quel secondo capitolo girato in Colombia dall' ex regista di commedie Nello Rossati (già autore dell' atroce commedia "horror" Io zombo, tu zombi, egli zomba del 1979) più che Django Franco Nero sembra Giuseppe Garibaldi armato di una mitragliatrice della prima guerra mondiale che stermina dei plotoni di soldati austriaci del Risorgimento sulle rive del Rio Grande ma a differenza del primo film, il suo seguito ufficiale intitolato "Django 2 - Il grande ritorno" fu un fiasco visto da nessuno, nonostante un protagonista ancora attivo al cinema e in televisione in un film d' avventura neanche tanto banale per essere stato girato da quel regista, che si firmò con il nome d' arte di Ted Archer. Pare che lo strano nome del protagonista sia stato ispirato da quello di un noto compositore jazz di origine zingara apprezzato da Corbucci, Django Reinhardt.

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