Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Un misterioso uomo arriva da lontano, trascinando con sé una bara e pochi effetti personali. Sulla sua strada salva una donna, tirandosi addosso contemporaneamente le ire di sudisti e messicani. L’uomo dice di chiamarsi Django e si accasa in un piccolo villaggio affrontando a viso aperto il terribile Tenente Jackson e il suo nutrito plotone di sgherri… Sergio Corbucci scrive (assieme al fratello Bruno) e dirige un western all’italiana in piena regola. Caposaldo dello spaghetti western, “Django” si avvale di una recitazione e messa in scena che non hanno niente da invidiare ai kolossal d’Oltreoceano. Quello di Corbucci è un film splendidamente architettato, con un uso istrionico della macchina da presa, movimenti di macchina continui, campi totali come se piovesse, addirittura soggettive durante un serratissimo corpo a corpo. Tempi dilatati e dialoghi diradati, a cui si preferisce l’azione, permettono un largo uso dell’accompagnamento musicale (tema di Luis Bacalov – uno dei maggiori collaboratori musicali del filone “spaghetti western” – e la parte cantata affidata a Rocky Roberts). Validissimi soggetto e sceneggiatura. Molte sono le scene da ricordare, su tutte quella con cui Django affronta i 40 uomini di Jackson. Il film è talmente ben riuscito da diventare un punto di riferimento per il genere, oggetto di numerosissimi sequel (di cui solo uno autorizzato) e con un protagonista che entra di diritto nel mito.
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