Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
"Capolavoro del cinema italiano", molte volte sento questa etichetta appiccicata a certe pellicole nostrane, sopportandola con molta fatica durante la lettura, perché con tale infelice espressione ancora una volta esce fuori il nostro provincialismo chiuso e ripiegato in sé stesso, se una pellicola è un capolavoro, in quanto tale deve misurarsi con tutto il resto della cinematografia del mondo e non solo quella nostrana, man che meno poi se riguarda i film del periodo degli ultimi 40 anni, dove c'è stato un calo netto e verticale nel nostro cinema. Che la Grande Guerra di Mario Monicelli (1959) sia un capolavoro del nostro cinema è ovvio e scontato, ma l'aggettivo capolavoro deve essere usato in raffronto universale, quindi ci si chiede se tale opera lo sia e la risposta non può che essere affermativa.
Strutturato tramite una narrazione episodica, la prima guerra mondiale infuria sul fronte italiano da oramai un anno, ed i nostri due protagonisti Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) e Giovanni Busacca (Vittorio Gasmann), soldati loro malgrado, sono spediti al fronte come tutti gli altri; capendo la follia in cui sono immersi, fanno di tutto per evitare di gettare la vita in inutili, costosi e sanguinosi assalti frontali, cercando di scamparla in ogni modo proponendosi per servizi militare di vario genere, cercando di rimandare il più al lungo possibile il battesimo del fuoco, ma alla fine finiranno per diventare eroi loro malgrado, seppur non lo saprà nessuno.
Oreste e Giovanni sono rispettivamente di Roma e Milano, il primo ha un'arte dell'arrangiarsi e una cialtroneria popolaresca tutta sua che sfrutta per trarre il massimo vantaggio da ogni situazione, mentre il secondo è un uomo di una certa cultura (legge Bakunin), che capendo maggiormente la situazione cerca di sfuggire dapprima alla leva militare cercando inutilmente di essere riformato e successivamente dagli assalti al fronte.
Il nord ed il sud del paese che per oltre 50 anni si sono ignorati nonostante l'unità nazionale, vengono a contatto prolungato al fronte sviluppando legami e una comunicazione mai avvenuta prima, ed accumunati tutti dall'infausto destino di essere carne da macello mandata a crepare tramite inutili assalti frontali, dove tra terreno impervio, filo spinato, buche e trincee avversarie, risulta essere in netto vantaggio la difesa rispetto all'attacco, senza un'artiglieria come si deve ogni offensiva è praticamente inutile, come assistiamo in un segmento del film dove se anche viene conquistata la prima trincea del film, gli austriaci secondo il precetto della difesa in profondità, ne hanno pronta un'altra più indietro praticamente inespugnabile, rendendo di fatto la conquista della prima inutile e precaria, perché facilmente riconquistabile tramite contrattacco.
Nonostante il loro grado basso, Oreste e Giovanni hanno capito l'andazzo e cercano di sottrarsi a tutto questo in vari modi, sviluppando un sincero sentimento di amicizia verso l'altro e legando con altri personaggi come Bordin (Folco Lulli), sempre pronto per qualche lira per aiutare la sua famiglia, partecipando a missioni rischiose al posto altrui, con cui ha maturato esperienza e saggezza rispetto agli ottusi "graduati", oppure il tenente Gallina preso constantemente in giro per il suo cognome, ma tutto sommato con un buon cuore quando non se la sente di dire la verità scritta in una lettera recapitata ad un soldato analfabeta, ed infine il cappellano Militare (Achille Compagnoni), plasmato e reso flessibile dalla situazione bellica, un Cristo che cerca di far sentire la sua presenza nella grande mattanza, perché neanche il figlio di Dio sfugge alla guerra avendo 33 anni e quindi nato nel 1884.
I personaggi del film differenti per grado, istruzione e provenienza, esprimono massime di pensiero, che nella loro apparente semplicità espositiva, nascondono una grande profondità, accentuata nella loro forza da una narrazione che si sviluppa in modo frammentato per episodi, accumunati tematicamente dal conflitto bellici e stilisticamente dai longtake e dai numerosi carrelli, rimando questi ultimi ad Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrick (1958), ma Monicelli rigetta il loro uso come freddo geometrismo razionale, sfruttandolo invece in modo più rozzo rispetto al regista americano, perché per il cineasta italiano la guerra è il trionfo dell'irrazionale che rigetta per questo ogni "perfezione" nelle linee e nei geometrismi, se carrello deve essere, deve farsi partecipe di un'analisi di un'intera società e classe mandata al fronte, siamo in effetti molto più vicini ad un Renoir della Regola del Gioco (1938), di cui capisco ora sempre più la grandezza del film, o alla concezione Wilderiana nello studio ed analisi sociale.
Nei vari frammenti tenuti insieme dalla superba regia di Monicelli ci sono tutti i mali atavici del nostro paese; una burocrazia asfissiante che neanche in tempi eccezionali riesce a smentire sé stessa, una miriade di capi e capetti sempre pronti a soddisfare il proprio ego torchiando chi si trova sotto il proprio comando, la retorica altisonante di chi non ha il culo "al fronte" risultando del tutto alieno alle reali necessità di chi combatte, l'abitudine dell'italiano a lamentarsi sempre di tutto per poi farsela sotto al momento di dover affermare le proprie rimostranze etc... in sostanza un'Italia sempre più uguale a sé stessa ed immutabile. Pure il finale sfugge a qualsiasi retorica pericolosa in cui poteva scadere, affermando al contempo, sia lo stupido orgoglio che per puntiglio impedisce a Giovanni di tradire i suoi connazionali, ma con la determinazione caparbia di chi afferma la propria dignità verso chi si sent a lui superiore, e al tempo stesso anche l'umana meschinità di Oreste, che segue il primo nel suo destino, ma con la sua vera natura che emerge nell'atto finale, commovendo lo spettatore.
I soldati di Monicelli nella loro umile semplicità hanno momenti di toccante commozione e solidarietà nel calcolo disumano del tutto (i soldi alla moglie di Bordin), risultando molto lontani dalla costruzione tramite il bignami del marine da film bellico americano, che prescrive il soldato come avente 200 kg di muscoli, decerebrato, spaccone, casinaro, sopra le righe e squadrato nel carattere. La comicità di Monicelli inserita in un contesto che non dovrebbe far ridere in alcun modo (Gallina dixit), provoca una temporanea esorcizzazione dei lati più macabri del conflitto bellico (vedere la mano fuori dal terreno), che non si mangia mai il film, però innanzi ad aspetti come la morte del portaordini, deve necessariamente essere forzatamente messa a tacere, per lasciare spazio ad una sincera commozione; c'è un tempo per ridere di gusto (l'episodio della gallina nella terra di nessuno), un tempo per unire le due cose (stabilire una linea di comunicazione durante l'assalto che rende tutto un casino) e un tempo in cui il dramma deve farla da padrona e ogni ironia o battuta sarebbe inutile (la grande mattanza seguita all'assalto austriaco durante la notte). Monicelli è abilissimo nel dosare la comicità, senza mai scadere nella farsa che avrebbe finito con il danneggiare lo spirito anti-retorico e anti-militarista che regge l'intera pellicola permeata esteticamente da un cupo bianco e nero in tutta la sua durata; certo, come in ogni film con una struttura "frammentata-episodica" indubbiamente ci sono segmenti meno interessanti di altri, qui individuati nei tre spezzoni dedicati a Constantina (Silvana Mangano) e alla sua storia con Giovanni, evidentemente spezzone imposto da Dino De Laurentis in quanto marito dell'attrice, eppure necessario per dare anche un punto di vista femminile del conflitto bellico, che altrimenti sarebbe risultato solo quello maschile e quindi, non esaustiva nell'idea Monicelliana di commedia umana che ha l'ambizione di avere uno sguardo quanto più possibile totale della realtà storica.
Vincitore a sorpresa del Leone d'Oro a Venezia insieme al Generale della Rovere, Monicelli con questo film riesce finalmente a far accettare la commedia come genere di valenza artistica da parte della critica "accademica", scatenando polemiche con i ranghi dell'esercito che furono ostili al film e la rabbia (comprensibile) delle popolazioni in cui si combatté il conflitto bellico, ma nulla poterono fare innanzi all'enorme successo di pubblico ai botteghini e spiace che nonostante la nomination agli Oscar, l'academy negò l'oscar a Monicelli, perché questo capolavoro assoluto di originalità, divorava in un solo boccone praticamente il 95% dei film di guerra Hollywoodiani, infarciti di eroismo spicciolo, battute idiote e retorica a palla.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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